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Casa Torre, tra via San Lorenzo 109 e via dell'Ospedale 2, Viterbo, raccordava due palazzi, quello dei Tignosini e quello dei Farnese, di linea quattrocentesca, tutti e 3 gli edifici sono parte del Complesso dell'Ospedale Grande degli Infermi, oggi, dismesso, agli inizi del cinquecento i Tignosini possedevano palazzi tra piazza della Morte e piazza San Lorenzo.

Famiglia dei Tignosi, Viterbo, Nell’XI secolo in Italia si assiste alla trasformazione dell’antico sistema delle corti alla nascita delle città, una sorta di fusione tra il preesistente nucleo urbano fortificato con i borghi nati ai confini delle mura. In questa nuova condizione urbana anche Viterbo vede un aumento della popolazione, dato sia dalla espansione del primitivo Castrum Viterbii  che dalla immigrazione di persone provenienti dalle vicine campagne. Tra questi i signori dei vicini contadi che erano attratti da nuove prospettive economiche ,oppure i mercanti che vedevano nella nuova città anche un riparo dai rigidi inverni e maggiori opportunità di scambi commerciali. Anche agricoltori ed artigiani si trasferiscono dai loro villaggi in città, così da creare una comunità di lavoratori come i fabbri, i carpentieri, i muratori, i commessi e gli operai. Ed è proprio agli inizi dell’anno 1000, in questo processo migratorio, che si colloca Offredduccio, capostipite della famiglia dei Tignosi, che fu una delle più influenti famiglie del medioevo viterbese. Offredduccio era originario di Valcena, un piccolo villaggio fortificato a nord ovest di Viterbo. Di Valcena non ci sono tracce o significative o testimonianze architettoniche, comunque il Castello viene nominato in documenti del ‘200 e lo si colloca come esistente fin dal 1048, e sembra che qui ci fosse una via valcenensis identificabile con l’attuale strada Dogana. Offreduccio de Valcena poi Tignosi, capostipite della famiglia viene identificato come già inserito nella città di Viterbo,  in un documento nel 1118, insieme alla moglie Nera, alla cognata Kiera, vedova di Sifredo di Giordano, proprietario di beni nel Castello di Bagnaia, e alla nipote Ropa, futura sposa di Guitto dei conti di Fara. Nulla si sa della sua condizione sociale precedente, forse non aveva nessun titolo aristocratico in quanto non esistono tracce di suoi eventuali possedimenti fondiari o immobiliari nei pressi di Valcena, è probabile che  appartenesse al ceto vassallatico di più basso rango, quello dei milites, ossia quegli uomini d’arme deputati al controllo di poderi e rocche in nome di un signorotto laico o ecclesiastico. E’ probabile che Offredduccio intuite le potenzialità della nascente città abbia deciso di trasferirsi e mettere a frutto le sue doti di soldato. Significativo per Offredduccio fu il matrimonio con Nera, figlia di Landolfo un facoltoso aristocratico che, privo di discendenza maschile, vuole assicurare alla figlia un marito dotato di una solida posizione e capace di preservare l’importante patrimonio accumulato. E fu così, che Offredduccio di Valcena entrò a far parte di uno dei più influenti gruppi familiari della città e s’impadronì della consistente dote della moglie, per lo più costituita da casamenti e terreni, in particolare, concentrati nel periferico castello di Sonza,l’odierno area della basilica di S. Francesco. Morto Offredduccio, i suoi diretti  discendenti proseguirono e consolidarono l’opera dell’avo e, grazie alle molteplici relazioni intrecciate, raggiunsero uno straordinario prestigio economico e politico. Principale protagonista di questo prodigioso potenziamento, nonché eponimo della schiatta, fu il nipote di Offredduccio: Tignoso di Landolfo, vissuto tra la fine del XII secolo e la metà del successivo.Nel caso di Tignoso di Landolfo mai nome fu più profetico. Nella sua vita, infatti, non mancò di distinguersi per tenacia e caparbietà; tutte doti che furono decisive per imporsi come attore della vita politica cittadina, ma anche per assicurare alla sua progenie un saldo inserimento nel sistema feudale del contado a danno della vecchia ed indebolita nobiltà rurale. Su questo secondo fronte, emulo del nonno, Tignoso scelse la via maestra del matrimonio: ed in effetti, lo troviamo sposato alla nobile Maria, nipote di Rainone signore del castello di Soriano, attraverso la quale entrò in possesso di ricche proprietà fondiarie. Ma non è tutto: Tignoso era uomo d’armi, membro della milizia cittadina, e quale compenso per i suoi servizi, nel 1228, ottenne in concessione dal Comune di Viterbo il castello di Alteto, una fortezza a sud di Vetralla. E’ solo l’inizio dell’espansione feudale dei Tignosi che raggiungerà il suo apice nella seconda metà del XIII secolo con il dominio anche dei castelli di Cocumella e Celleno. A Viterbo, Tignoso e i suoi più stretti parenti possedettero terreni, mulini, fabbricati e palazzetti; in particolare sul colle della Cattedrale occuarono un intero caseggiato fortificato oggi identificabile con il complesso dell’Ospedale Vecchio e del Palazzo Farnese, che i documenti descrivono dotato di torri e di biffe per il lancio di proiettili: una sorta di trasposizione urbana del cassero rurale.  Forti di una tradizione militare antica ed espressione di un’oligarchia fondata sul possesso fondiario ed immobiliare, i Tignosi dominarono la scena politico-istituzionale viterbese duecentesca. I sommovimenti antimagnatizi ed il successivo instaurarsi delle effimere signorie trecentesche segnarono un progressivo declino della famiglia. Secondo alcuni storici i successori di Offredduccio e di suo nipote Tignoso si sarebbero estinti nel XV secolo a vantaggio di un ramo bastardo: i Tignosini.

Significato del nome Tignosi : per quanto curioso, l’appellativo Tiniosus è tutt’altro che raro nelle fonti medievali. A Viterbo, già alla fine dell’anno Mille, si ha notizia di un Pincu Tingusu e di Giovanni dei Gualfredi detto Tingusu (forse un lontano parente di Offredduccio); nel secolo successivo, invece, sono nominati Iohannes de Tinioso, Tinioso Dalvisca, Tignoso di Rollandino e Tignoso da Vitorchiano. Ma il nome ricorre spesso anche nel resto dell’Italia centrale: a Roma, dove nel 1058 il trasteverino Giovanni Tinioso è investito della carica di Prefetto; nella Sabina (Farfa) e in Umbria; nelle Marche, in Romagna e in Toscana, in particolare a Pisa, dove i “del Tignoso” daranno origine ad una dinastia di banchieri, e in Val d’Orcia, dove Tignosi sono i conti di Tintinnano. In alcuni casi, Tignoso è niente più che un soprannome attribuito per evocare l’indole ostinata di un personaggio (rognoso, cocciuto). Altre volte, invece, il termine è usato direttamente come nome proprio e, persa ogni connotazione negativa, sta a significare persona irriducibile, «superba».

Tra i rappresentanti della famiglia dei Tignosi, troviamo anche Tignosi Giovanni amministratore politico nella Viterbo del XII e XIII secolo, Esponente della famiglia aristocratica viterbese che deteneva diverse proprietà sia nella città sia nel contado, fu console comunale nel 1205. Agli inizi del sec. XIII venne nominato camerlengo del Comune di Viterbo pur essendo stato scomunicato da Innocenzo III, il quale aveva tacciato di essere patarini i consoli eletti dal Comune stesso contro il suo parere. La posizione e le proprietà della famiglia non subirono comunque alcun danno o confisca. Giovanni ebbe certamente due figli: Capitaneus, che si trovava presso il papa quando, nel 1207, Ildebrandino degli Aldobrandeschi si recò a fare atto di sottomissione, e Raniero, che nel 1253-1254 ricoprì la carica di balivo comunale assieme a Iacoppus Petri Nuccii, e con questi collaborò per la pacificazione degli famiglie ostili di Viterbo. Dopo di loro sembra che l’ufficio di balivo sia scomparso. Da Raniero nacque Tignoso Tignosi, il quale accrebbe ulteriormente le proprietà e i possedimenti della famiglia, al punto da ricevere la qualifica di dominus. Tignosi Maganzesi Landolfo fu un politico durante il XIII secolo,è il  capostipite della famiglia dei Tignosi Maganzesi, fu castellano di Alteto, capeggiò i ghibellini viterbesi nel 1243. Il nipote Pontius successe a Raniero Gatti nella carica di capitano del popolo di Viterbo. Tignosi Angelo – Vescovo (Viterbo, sec. XIV). Canonico di S. Giovanni in Laterano, fu nominato vescovo di Viterbo il 19 marzo 1318 dal cardinale di Albano. Fu preposto ai restauri della Basilica Lateranense nel 1319, dopo il suo incendio nel 1318, incarico che lo trattenne a Roma all’inizio del suo episcopato; la diligenza con cui lo svolse gli valse le lodi di Giovanni XXII. Fu nominato giudice nel processo di canonizzazione di san Tommaso d’Aquino, insieme all’arcivescovo di Napoli e a Pandolfo Savelli. Alcune fonti raccontano della sua guarigione miracolosa da un tumore a una gamba, proprio per l’intervento del santo. Arrivato a Viterbo intraprese un’opera di restaurazione della diocesi, in cui venne assistito dal vescovo di Rieti e dall’abate di San Paolo, su decisione pontificia. Si accinse dunque a comporre le controversie con Toscanella (oggi Tuscania), Corneto (oggi Tarquinia) e Montalto, da tempo ribelli al vescovo di Viterbo. Nel 1321, il papa confermò la sua abilità di governo, affiancandolo ai governatori del Patrimonio della Tuscia; in particolare ebbe un ruolo attivo nelle trattative di pace tra Vanne e Cataluccio di Galasso di Bisenzio e Guittuccio, e tra i Farnese e i Manfredi di Vico per il castello di Ancarano. Nominato vicario papale nel 1325 fino al 1335, non tralasciò mai il governo della sua diocesi, neanche quando Viterbo fu occupata dalle truppe di Ludovico il Bavaro; durante lo scisma la città si schierò con l’antipapa, tanto da nominare un anticardinale, il frate minorita Paolo da Viterbo. Alla fine dello scisma si preoccupò di recuperare i beni della diocesi, nonché le lettere e le disposizioni della gestione ecclesiastica dell’anticardinale e si occupò attivamente di riportare Viterbo alla fedeltà alla Chiesa di Roma, come testimonia una sua relazione inviata al papa nel 1331. La sua sollecitudine pastorale è attestata dalla convocazione di tre sinodi diocesani, di cui pubblicò anche le Constitutiones. Nel primo sinodo, convocato a Toscanella nel 1320, furono redatte una serie di norme sulla vita sacerdotale, che stabilirono, ad esempio, l’obbligo della residenza del clero in cura d’anime e degli altri chierici beneficiati. Del secondo sinodo, convocato il 15 maggio 1323, domenica di Pentecoste, nella cattedrale di Viterbo, si conserva un decreto, emanato il lunedì di Pentecoste, con cui il vescovo reintegrò il priore di S. Maria Maggiore di Toscanella, nei suoi antichi privilegi. Il terzo sinodo fu convocato a Corneto nel 1339, e in esso fu discussa la questione dell’allibrato, cioè la ripartizione fra i chierici beneficiati delle imposte da pagarsi al papa, ai legati pontifici e al vescovo. morì a Viterbo l’8 sett. 1343.

Bibliografia : Ser Marcus de Montfort dal sito web Lo Straccifojo. – dal sito web Gente di Tuscia : Scheda di Antonella Mazzon Scheda di Carla Vaudo e dal sito di Wikipedia.

Famiglia Tignosini ramo bastardo della Famiglia Tignosi, Viterbo,  I Tignosini, si distingueranno nella storia di Viterbo,  per la loro violenza e risolutezza nelle liti tra fazioni quattrocentesche e saranno detti anche  Maganzesi. In questa particolare denominazione i cronisti e gli studiosi del passato hanno voluto riconoscere l’indizio di un’origine tedesca del ceppo familiare primitivo. In realtà il soprannome maganzesi o maguntini (citato per la prima volta solo nel 1429) fu coniato dai nemici dei Tignosini come sinonimo di rinnegati, secondo l’accezione che il termine assunse nel corso del Medioevo. Nell’epopea della Chansons de geste, infatti, Gano di Magonza era il paladino franco che ordì con i Mori l’aggressione della retroguardia di Carlo Magno nelle gole di Roncisvalle. Nei poemi cavallereschi italiani Il Furioso, L’Innamorato, Astolfeida., Gano e i membri della sua discendenza furono definitivamente rappresentati come proverbiale immagine dei traditori. Bibliografia: di Ser Marcus de Montfort dal sito web Lo Straccifojo.

Palazzo Tignosini, via Chigi, Viterbo, alla sinistra del palazzo Caetani-Chigi, via Chigi è un palazzetto appartenuto ai Tignosini, discendenti dei più celebri Tignosi, che durante il XV secolo si contesero con Monaldeschi e Gatti il controllo della città. Sulla facciata un interessante stemma raffigurante due ali spiegate.

Palazzo dei Tignosi di Palino Tignosini, piazza della Morte,Il monastero si ampliò nel 1508 per volere della ministra Margherita Martellacci, che acquistò una casa di Tignoso di Palino Tignosini. Questa casa nel 1610 fu ridotta in parte a piazza ed in parte fu incorporata al monastero ove un salone fu chiamato di Palino come ricorda Domenico Bianchi. Nel 1529, le monache, avendo ricevuto l’anno avanti un legato di mille ducati d’oro e una casa a Roma, decisero di ampliare il monastero chiedendo al Comune di poter chiudere la strada che era tra il convento e il loro mulino. Il Comune approvò la chiusura, ma chiese di aprire una nuova strada chiamata via Pietra del pesce.

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