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Piazza Fontana Grande, Viterbo centro storico, la piazza prende il nome dalla fontana, è a metà strada tra via Cavour e via Garibaldi, qui si erge la fontana, una delle tante che ornano le piazze di Viterbo, di epoca medioevale. Fa da sfondo a piazza Fontana Grande la ex chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa ed ex convento dei Carmelitani Scalzi. La piazza immette su varie vie, via delle Fortezze, via Garibaldi, via Cavour, via Saffi, via degli Scalzi. La ex Chiesa dei Santi Teresa e Giuseppe sorge al posto del palazzo Gatti che fu fatto demolire da Papa Alessandro VI, in quanto sperava di trovarvi il tesoro dei Brettoni.

Ex Chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa

ex chiesa santi teresa e giuseppe viterbo piazza fontana grande

Ex chiesa Santi Giuseppe e Teresa

La ex chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa,piazza Fontana Grande, Viterbo,che faceva parte del complesso monastico dei Carmelitani Scalzi, venne completata nella seconda metà del Settecento anche se la  facciata porta la data dell’anno giubilare 1675.  La facciata della chiesa venne ultimata nel 1675, grazie all’aiuto economico del mecenate Giovan Battista Pettirosso, il cui nome è riportato nella iscrizione del fregio., famiglia originaria di Bracciano. Nel 1771 le cappelle vennero assegnate a famiglie gentilizie locali. In una di queste fu collocata la tomba del viterbese Giovanni Francesco Romanelli, morto nel 1662. Nel 1873, dopo la soppressione degli ordini religiosi, la chiesa subì la destinazione ad Aula di Giustizia e come tale  operò  fino al 2005. Ciò comportò uno sconvolgimento radicale dell’assetto strutturale con la edificazione anche di una esedra davanti all’altare maggiore ritenuta funzionale alle attività giudiziarie. Vennero anche sistemati la gabbia degli imputati e il box per i testimoni. Ha ospitato processi storici come quello dei Cuocolo nel 1911 e della banda Giuliano negli anni Cinquanta. Oggi, nel 2023 ospita gli Uffici del Comune di Viterbo. Nel 1771 grazie ai lasciti delle nobili famiglie viterbesi come i Casini Pettirossi, i Brugiotti ed i Signorini, vi furono interventi per il completamento dell’opera.  La pianta della chiesa è a navata unica con sei cappelle e un profondo coro dietro il presbiterio;  la volta a botte lunettata e crociera è coperta da un'alta cupola, presentando un'evoluzione della tipologia vignolesca adottata dai Carmelitani Scalzi in molteplici esempi spagnoli e italiani. Pur conservando una impronta classica a doppio ordine con partitura centrale culminante in un timpano triangolare, è affiancata da raccordi curvilinei laterali, con alcuni elementi che si distinguono dalla canonica sobrietà, quali l'uso delle paraste ioniche sormontate da un secondo ordine corinzio più esile (invece che un doppio ordine dorico), il timpano spezzato a corona della cornice del primo piano, il disegno a sagome irregolari delle specchiature della parete. Il fregio presenta l'iscrizione latina con la data d'inaugurazione e la dedicazione della chiesa: "IO. BAPTISTA I'ECTORUBEUS IN SS. JOSEPH ET TEKESIAE HONOREM AN. JUB. MDCLXXV". Riportando il nome del principale sostenitore dell'opera, il titolo della chiesa ha indotto talvolta ad alcuni fraintendimenti, forse non del tutto involontari. Una vulgata interna all'ordine ha infatti tramandato il nome della fondazione come "S. Giovanni presso SS. Giuseppe e Teresa", sfruttando un facile gioco di parole  Del Settecento è il singolare tiburio ottagono con nicchie angolari, l'interno della cupola con una sequenza di colonne e finestre ed una bella edicola che incornicia il finestrone del transetto sinistro con colonnine a sostegno di un frontone convesso e stemma nobiliare. Va sottolineato come il completamento settecentesco conferisca al complesso un profilo inedito rispetto ai volumi massicci e sobri dell'impianto originario, cedendo in diversi particolari alle suggestioni spaziali del linguaggio architettonico del tempo. Ne è significativo esempio l'elegante gioco compositivo della cupola, tanto nel ritmo degli ordini dell'intradosso quanto nel singolare involucro esterno del tamburo.Fonte http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/2001_3-4/Sturm.pdf

Stemma Chiesa SS Giuseppe e Teresa

stemma alla facciata ex chiesa santi teresa e giuseppe piazza fontana grande viterbo

Stemma ex chiesa Giuseppe e Teresa

Stemma alla chiesa dei Santi Giuseppe e Teresa, piazza Fontana Grande Viterbo centro storico, è sopra il portale di ingresso alla chiesa.

Fregio iscrizione Chiesa

scritta sul frontone ex chiesa santi teresa e giovanni piazza fontana grande viterbo

Iscrizione ex chiesa Giuseppe e Teresa

Fregio sul frontone chiesa dei SS Teresa e Giuseppe, piazza Fontana Grande, Viterbo, Il fregio presenta l'iscrizione latina con la data d'inaugurazione e la dedicazione della chiesa: "IO. BAPTISTA I'ECTORUBEUS IN SS. JOSEPH ET TEKESIAE HONOREM AN. JUB. MDCLXXV". Riportando il nome del principale sostenitore dell'opera, il titolo della chiesa ha indotto talvolta ad alcuni fraintendimenti, forse non del tutto involontari. Una vulgata interna all'ordine ha infatti tramandato il nome della fondazione come "S. Giovanni presso SS. Giuseppe e Teresa", sfruttando un facile gioco di parole  

Cupola ex Chiesa SS Giuseppe e Teresa

viterbo cupola ex chiesa santi teresa e giuseppe piazza fontana grande viterbo

Cupola ex chiesa Giuseppe e Teresa

La cupola
Del Settecento è il singolare tiburio ottagono con nicchie angolari, l'interno della cupola con una sequenza di colonne e finestre ed una bella edicola che incornicia il finestrone del transetto sinistro con colonnine a sostegno di un frontone convesso e stemma nobiliare. Va sottolineato come il completamento settecentesco conferisca al complesso un profilo inedito rispetto ai volumi massicci e sobri dell'impianto originario, cedendo in diversi particolari alle suggestioni spaziali del linguaggio architettonico del tempo. Ne è significativo esempio l'elegante gioco compositivo della cupola, tanto nel ritmo degli ordini dell'intradosso quanto nel singolare involucro esterno del tamburo

Ex Monastero Carmelitani Scalzi


ex monastero carmelitani scalzi piazza fontana grande viterbo info e foto anna zellli

Ex Monastero degli Scalzi


Ex Monastero dei Carmelitani Scalzi, piazza Fontana Grande Viterbo, questo complesso monastico venne fondato dai Carmelitani Scalzi nel XVII secolo un ordine contemplativo, riformato alla fine del ‘500 dai mistici spagnoli Teresa D’Avila e San Giovanni della Croce, i carmelitani scalzi, dovevano svolgere attività spirituale negli ospedali. Il loro ingresso a Viterbo avvenne nel 1630, furono alloggiati dapprima alla chiesa di  Santa Maria Nuova e successivamente alla chiesa di San Silvestro oggi del Gesu, chiesa del Gesù,  attualmente sconsacrata. Questa comunità venne fondata a Viterbo  da padre Salvatore di Santa Maria, esponente della nobile famiglia Fani, di Tuscania. I carmelitani si radicarono nella città ed ottennero lasciti e finanziamenti per la realizzazione del convento. La via degli Scalzi, una viuzza breve e stretta è infatti intitolata a loro. Nel 1640 diedero l’avvio alla costruzione del convento e della adiacente chiesa intitolata ai santi Giuseppe e Teresa.  Il complesso, chiesa e convento affacciano sulla piazza Fontana Grande. A breve distanza da Porta Romana. Il grande complesso richiese tempo per essere ultimato, ancora nel 1651 i carmelitani cercavano soldi per la sua completa realizzazione. Solo  nella seconda metà del ‘700 il complesso fu ultimato.I Carmelitani Scalzi, furono un antico ordine religioso contemplativo, riformato alla fine del ‘500 dai mistici spagnoli Teresa d’Avila e Giovanni della Croce. A piazza Fontana Grande c’erano sia il convento dei Carmelitani che la chiesa dei SS Giuseppe e Teresa. Durante il medioevo questa zona era occupata dalla fortezza della famiglia Gatti. Intorno al 1770 fu completata l’edificazione della Chiesa oggi sconsacrata. Il convento dei Carmelitani Scalzi fu antecedente alla chiesa dei Santissimi Giuseppe e Teresa, da una ricerca dell’architetto Saverio Sturm, il convento risale al 1640 e sembra che i religiosi fossero già nella città di Viterbo da almeno un decennio. Nel secolo successivo, nel 1770 circa, vi furono i primi interventi di restauro grazie ad alcuni benefattori tra cui Bartolomeo Casini Pettirossi (il cui nome appare nell'iscrizione di facciata della chiesa dedicata ai SS. Giuseppe e Teresa), Pietro Brugiotti, Clelia Signorini ed altri. Quando le truppe Napoleoniche nel 1810 invasero Viterbo, il convento venne soppresso. Successivamente venne di nuovo istituito, ed ampliato a seguito dell’acquisto di case limitrofe, donate poi ai carmelitani scalzi. All’interno di questa struttura vi erano delle opere pittoriche, tra queste del viterbese Giovanni Francesco Romanelli, al quale è dedicata una via, che morto nel 1662 venne qui sepolto.  A seguito dell’Unità d’Italia l’edificio venne adibito a Palazzo di Giustizia ed inaugurato nel 1886. Angelo La Bella e Rosa Mecarolo nel loro saggio “Tiburzi senza leggenda”, ci riferiscono che qui si svolsero vari processi importanti, tra questi, il processo alla banda Tiburzi, Cuocolo contro la camorra napoletana (1911-1912), il processo contro la banda Giuliano per la strage di Portella della Ginestra (1951-1952), il processo contro Gaspare Pisciotta, e, infine, in anni più recenti, quello contro i terroristi di Prima Linea. Per dare più luce all’aula delle udienze penali, venne abbattuto il campanile che sovrastava il lanternino della cupola. Entrando infatti si leggono le scritte: “La legge è uguale per tutti”, ai lati vi erano le “gabbie” per gli imputati, vi sono anche due fasci littori in ferro nascosti sotto le colonnine di legno. Sul pavimento vi è una botola in peperino, con dei teschi incisi, da qui si accedeva ad un piccolo cimitero della chiesa destinato ai detenuti poveri in attesa di giudizio. Al primo piano vi era la Corte d’Assise. Quando la chiesa venne adibita a Tribunale, la prima campata della navata della chiesa venne chiusa da un tramezzo e soppalcata ed adibita a deposito giudiziario ed il piano superiore divenne la sede dell’archivio. Alla destra del transetto c’era la gabbia degli imputati, e lo spazio della crociera diviso dal presbiterio venne chiuso da un tramezzo e ospitava gli scranni della corte. Nel 2000 il Tribunale venne trasferito in località Riello, ed il complesso cadde in disuso. Fino a poco tempo fa era adibito a spazio espositivo per eventi culturali, dal 2017 nell’ex convento sono stati trasferiti alcuni uffici comunali, inclusa l’Anagrafe. Fonte http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/2001_3-4/Sturm.pdf

Ordine dei Carmelitani Scalzi

ordine carmelitani scalzi chiesa e monastero a piazza fontana grande viterbo

Ordine Carmelitani Scalzi

Ordine dei Carmelitani Scalzi a Viterbo, piazza Fontana Grande, Viterbo, questo ordine, a Viterbo,  aveva la sua sede negli uffici che un tempo erano del Palazzo della Giustizia, facenti parte della ex chiesa dei Santissimi Teresa D’Avila e San Giuseppe a piazza Fontana Grande. L’Ordine dei Carmelitani Scalzi era un ordine contemplativo, riformato da Santa Teresa D’avila e da San Giovanni della Croce nel Cinquecento. L’ordine era presente in Europa e nei territori d’oltremare della Nuova Spagna. Approdò a Genova nel 1584, e si diffuse in tutta Italia. Dal 1597 si insediò a Roma, nei vari centri dello Stato Pontificio, a Caprarola, a Terni, a Perugia, a Fano, ad Urbino. Nel corso della diffusione in Spagna e in Italia la riforma carmelitana aveva sviluppato una particolare sensibilità artistica ed al tempo stesso un'articolata normativa edilizia che vincolava la fondazione di chiese, conventi e monasteri all'osservanza di regole generali. Tra queste la predilezione per luoghi isolati ma non esterni al tessuto cittadino, possibilmente panoramici e a contatto con l'ambiente naturale, costituiva uno dei primi requisiti necessari ad un insediamento carmelitano. La qualità paesaggistica delle nuove fondazioni rappresentava già negli scritti autografi di santa Teresa d'Avila un importante elemento distintivo, che intendeva evocare il collegamento diretto dei carmelitani teresiani con gli antichi eremiti del monte Carmelo della Palestina del XII secolo, e significava la considerazione in cui era tenuto il rapporto con la bellezza del creato quale aspetto necessario al cammino ascetico. Nella redazione di diverse edizioni periodiche delle Costituzioni erano state concepite e razionalizzate alcune regole compositive generali ispirate ai postulati fondamentali della sobrietà, semplicità e severità di un'architettura che doveva esprimere nelle forme e nella materia il portato spirituale dell'ordine. La presenza carmelitana a Viterbo trae origine dall'incontro della volontà degli Scalzi e del Vescovo locale di introdurre in città alcuni religiosi disponibili a prestare servizio spirituale all'ospedale e alle diverse comunità religiose femminili. La prima ipotesi del Provinciale romano è documentata in un incontro del 5 luglio 1628, nel corso del quale le intenzioni del religioso furono incoraggiate dal Definitore Generale, che vincolò la fondazione all'approvazione del titolare diocesano. Il cardinal Muti, vescovo della città, acconsentì alla richiesta e permise a due Scalzi di prendere servizio; la loro richiesta era motivata dal desiderio di cominciare a farsi conoscere e benvolere dagli abitanti di Viterbo. L'ingresso in città dei Carmelitani avvenne il 4 gennaio 1630, alloggiati presso la chiesa di Santa Maria Nova e poi successivamente nella sede provvisoria di San Silvestro oggi chiesa del Gesù. La fondazione della comunità di Viterbo si doveva all'iniziativa del padre Salvatore di Santa Maria, esponente della nobile famiglia Fani di Tuscania accompagnato dal suo primo compagno, padre Pietro, religiosi di molta virtù, e provetti d'età. I due confessarono le Monache, e i secolari. I Carmelitani si radicarono profondamente nel tessuto cittadino ottenendo diversi lasciti e finanziamenti per la realizzazione del convento, e lasciando in eredità alla città il toponimo di via degli Scalzi che intitola ancora il vicolo adiacente al palazzo. Nel 1640 la comunità si trasferì in un'altra zona della città, presso una sede ancora provvisoria dove era in fase di avvio la costruzione di un ampio convento e della chiesa congregazionale intitolata ai SS. Giuseppe e Teresa. Affacciato sulla piazza Fontana Grande, a breve distanza da Porta Romana, il nuovo complesso sorgeva in una posizione tipica per un insediamento carmelitano, ai margini dell'abitato e nei pressi di una porta di ingresso al nucleo urbano. Alla data del 1641 i documenti attestano ancora una fabbrica da costruirsi, mentre le raccolte di denaro preso a censo per tale scopo proseguirono almeno fino al 1651. Le difficoltà economiche connesse alla realizzazione dell'ambizioso progetto vengono nuovamente segnalate da reiterate richieste di dispense e proroghe circa la soddisfazione di legati e censi formulate dai religiosi alla Sacra Congregazione del Concilio negli anni tra il 1643 e il 1656. Il cantiere di costruzione proseguì lentamente e a fasi alterne, come rivelano gli affannosi tentativi della piccola comunità di colmare i debiti maturati con gli artigiani e nel 1695 ancora nel 1723,  il complesso raggiunse la sua definitiva fisionomia, sia per quanto riguarda la chiesa che il convento, solo nella seconda metà del Settecento. La facciata della chiesa fu portata a termine nell'anno giubilare del 1675, grazie al mecenate Giovan Battista esponente di una famiglia originaria del braccianese, il cui nome figura esplicitamente nell'iscrizione del fregio. La vicenda della realizzazione della fabbrica è in effetti fortemente vincolata al rapporto della comunità con la Famiglia Pettirossi; oltre a questo primo finanziamento, nel corso del Settecento ricorrono le tracce di cospicue somme versate dalla famiglia al convento per la conclusione del cantiere. Il nome della famiglia non compare negli elenchi delle casate viterbesi più note, ma è invece reperibile tra i notabili della città di Monterano, dove nel 1775 la carica di Governatore della città era rivestita da un tale Francesco Pettirossi. Gli interventi settecenteschi Nella prima metà degli anni settanta del secolo XVIII ebbe luogo una nuova fase del cantiere che doveva portare a compimento le strutture in alzato, le coperture e l'apparato decorativo della chiesa. Nel 1771 è registrata la notizia di un legato di 14.000 scudi lasciato da Bartolomeo Casini Pettirossi ai padri, dai quali è destinato alla conclusione della fabbrica, per il completamento della cupola e dell'altare maggiore. Un documento del 1776 pubblica i nomi dei diversi benefattori del convento, fra cui nuovamente Bartolomeo Casini Pettirossi (6327 + 1250 scudi), Pietro Brugiotti (1200 scudi), Clelia Signorini (3000 scudi) e molti altri. In effetti sia la chiesa che il convento segnalano le tracce evidenti degli interventi settecenteschi, tesi al completamento del progetto avviato nel secolo precedente, quali il singolare tiburio ottagono con nicchie angolari, l'interno della cupola con una sequenza di colonne e finestre, la bella edicola che incornicia il finestrone del transetto sinistro con colonnine a sostegno di un frontone convesso e stemma nobiliare. Va sottolineato come il completamento settecentesco conferisca al complesso un profilo inedito rispetto ai volumi massicci e sobri dell'impianto originario, cedendo in diversi particolari alle suggestioni spaziali del linguaggio architettonico del tempo. Nel significativo esempio dell'elegante gioco compositivo della cupola, tanto nel ritmo degli ordini dell'intradosso quanto nel singolare involucro esterno del tamburo, segnala una architettura tardo-barocca. Nicola Salvi, il Gregoriano nel 181 9 segnala che nelle vicinanze vi fossero almeno otto case, le quali negli anni 1737-38 per la ricostruzione vennero affittate dagli Scalzi. Soppresso il convento nel 1873 ed abbandonati definitivamente nel 1915 gli sforzi per recuperarlo, i frati tentarono senza successo il trasferimento presso il Santuario della Beata Vergine tra il 1787 ed il 1807 La chiesa e Il convento furono soppressi una prima volta dal governo d'occupazione francese nel 1810. Tornato in mano ai religiosi, questi vi operarono dei lavori di restauro e di parziale allargamento dei confini, che furono estesi a diverse case affacciate sulla medesima piazza.  Soppresso il convento nel 1873 ed abbandonati definitivamente nel 1915 gli sforzi per recuperarlo, i frati tentarono senza successo il trasferimento presso il Santuario della Beata Vergine in Carbonara e poi nella Chiesa di Sant’Orsola. Oggi la ex Chiesa è sede di Uffici del Comune di Viterbo (2023). Fonte http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/2001_3-4/Sturm.pdf

Ordine dei Carmelitani Scalzi, i Carmelitani sono nati, verso la fine del XII secolo, da un gruppo non identificato di laici, pellegrini e crociati, che stanchi della guerra e desiderosi di attendere l’ultima venuta del Cristo, che sarebbe dovuta avvenire a Gerusalemme, si ritirarono sulla montagna del Carmelo dove adottarono uno stile di vita come eremiti in opposizione al  movimento monastico. Questi si dedicarono alla preghiera e alla meditazione. Erano eremiti indipendenti, alla ricerca della perfezione attraverso la solitudine e la lotta contro il  diavolo e contro tutti i nemici dell’uomo, e contro le passioni umane. In un secondo momento, tra il 1206 e il 1214, chiedono al patriarca di Gerusalemme Alberto Avogadro, residente in San Giovanni d’Acri, una regola dove vivere nella adorazione di Gesù Cristo, servendolo fedelmente con cuore puro e buona coscienza. La mancanza di sicurezza in Terra Santa fece sì che i Carmelitani iniziarono ad emigrare in Europa; si stabilirono a Cipro, in Sicilia, in Francia e in Inghilterra. Nel 1291, con la caduta di San Giovanni d’Acri, termina la presenza dei Carmelitani sul Monte Carmelo a Gerusalemme. La mitigazione della Regola e i suoi adattamenti alle nuove esigenze della vita religiosa volute da Innocenzo IV nel 1247, segna il passaggio dalle origini eremitiche dell’Ordine del Carmelo alla forma di vita mendicante. Si permette ai Carmelitani di fondare i conventi nelle città e dedicarsi all’apostolato come gli altri Ordini Mendicanti, anche se solo con il II° Concilio di Lione saranno ufficialmente Mendicanti insieme ai Domenicani, Francescani ed Eremiti di sant’Agostino. Una volta stabilitisi  in Europa, cercarono dei segni per essere riconosciuti dalla gente e svilupparono la devozione al profeta Elia, presentato nel duplice aspetto di prototipo dell’eremita dedicato interamente alla contemplazione e modello di vita attiva. Allo stesso modo, svilupparono la pietà mariana che li farà identificare come l’Ordine della Vergine; è solo in Europa che si generalizza il titolo dell’Ordine conosciuto come Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo. Negli ultimi tempi del Medio Evo, i Carmelitani desiderarono vivere secondo i precetti di Gesù Cristo : la contemplazione, fu il fondamento della vita e dell’apostolato del Carmelitano; oltre all’orazione e alla meditazione; al raccoglimento e al silenzio; all’ascesi, alla sobrietà della vita e alla povertà del vivere in umiltà e dipendendo dagli altri, ed infine all’apostolato, nelle proprie chiese ma anche a servizio della realtà ecclesiale. I Carmelitani scalzi (in latino Ordo Fratrum Discalceatorum Beatae Mariae Virginis de Monte Carmelo) sono un istituto religioso maschile di diritto pontificio. I frati di questo ordine mendicante pospongono al loro nome la sigla O.C.D. L'ordine deriva dalla riforma scalza introdotta nel 1562 nel monastero femminile di San Giuseppe d'Avila da santa Teresa di Gesù ed estesa al ramo maschile dell'ordine carmelitano a opera di san Giovanni della Croce con la fondazione del convento di Duruelo nel 1568. Gli scalzi nel 1580  furono riconosciuti prima come provincia e poi nel 1587 come congregazione all'interno dell'ordine carmelitano, dal quale si separarono definitivamente nel 1593. Dopo la separazione dal ramo "calzato" i religiosi si divisero in due congregazioni autonome di San Giuseppe in Spagna e di Sant'Elia in Italia, riunite nel 1875 da papa Pio IX nel 1875. Santa Teresa D’Avila, Teresa di Gesù, già religiosa carmelitana del monastero dell'Incarnazione di Avila (in Spagna), elaborò con alcune compagne il progetto di un nuovo monastero riformato, sul tipo di quelli delle clarisse "scalze" che seguivano lo spirito di Pietro d'Alcántara. Trovata una sede, la adattò e, ottenuto il permesso della Penitenzieria Apostolica, il 24 agosto 1562 la eresse in monastero (secondo la regola senza mitigazioni del 1247, senza rendite) con il titolo di San Giuseppe: nel 1563 Teresa fu eletta priora e fissò le prime norme di vita. Maturò poi l'idea di istituire una famiglia di religiosi dello stesso stile per la direzione spirituale delle monache e, per mezzo del vescovo d'Avila Álvaro de Mendoza, sottopose il progetto al priore generale dei carmelitani. Nel 1567 Teresa ricevette la visita del priore generale Giovanni Battista Rossi, che apprezzò e incoraggiò la sua opera, invitandola a fondare altri monasteri; dopo un iniziale rifiuto, il generale concesse anche il permesso di erigere due conventi maschili di "carmelitani contemplativi" posti sotto l'obbedienza del provinciale di Castiglia. Nell'autunno 1567 Teresa incontrò Giovanni di San Mattia, giovane carmelitano del convento di Medina del Campo, studente di teologia e filosofia a Salamanca e da poco sacerdote, che stava meditando di passare ai certosini. Teresa lo convinse a diventare la pietra fondamentale della riforma che intendeva realizzare tra i frati dell'ordine. Per iniziarlo al nuovo stile di vita, Teresa volle con sé Giovanni alla fondazione del monastero delle scalze di Valladolid. Dopo averlo rivestito per primo dell'abito da lei ideato per i suoi frati, lo invitò a preparare il primo convento a Duruelo. Il 13 luglio 1569 fu fondato a Pastrana il secondo convento dei carmelitani scalzi, nel quale abbracciarono la vita religiosa i primi italiani: Ambrogio Azzaro (Mariano di San Benedetto) e Giovanni Narducci (Giovanni della Miseria). La comunità di Duruelo nel 1570 si trasferì a Mancera de Abajo; lo stesso anno, a causa del fiorire delle vocazioni, fu inaugurato ad Alcalá de Henares il primo collegio della riforma e Giovanni della Croce ne fu il primo rettore. A queste prime tre comunità, si aggiunsero presto i conventi di Altomira (1571) e di Roda (1572). San Giovanni della Croce e Santa Teresa D’Avila,  iniziarono una vita religiosa in comune, questa ebbe inizio  il 28 novembre 1568. Giovanni,  prese il nome di Giovanni della Croce, operarono insieme ad Antonio di Gesù, già priore del convento di Medina del Campo, e con il fratello laico Giuseppe di Cristo. Teresa diede ai suoi frati quella che lei definiva la "Regola primitiva" dell'ordine carmelitano, cioè quella emanata da papa Innocenzo IV con la bolla Quem honorem conditoris del 1º ottobre 1247, senza le successive mitigazioni relative al silenzio, al raccoglimento e all'astinenza approvate dai papi Eugenio IV, Pio II e Sisto IV. I frati univano alla vita di preghiera un fervente apostolato tra gli abitanti dei vicini villaggi. A partire dal 1572 si aprirono numerose case in Andalusia (San Juan del Puerto, Granada, La Peñuela...) non autorizzate dal priore generale; inoltre nel 1574 fu eletto superiore provinciale di Andalusia Girolamo della Madre di Dio Gracián, che aveva professato tra gli scalzi di Pastrana. Ciò creò un attrito tra gli scalzi e il resto dell'ordine.Il capitolo generale dei carmelitani celebrato a Piacenza nel 1575 condannò gli scalzi come "disobbedienti, contumaci e ribelli" e impose loro di lasciare i conventi andalusi fondati senza il consenso del priore generale. Il nunzio apostolico in Spagna, Nicolò Ormaneto, favorevole agli scalzi, rese inefficaci le decisioni del capitolo generale, ma ciò servì solo a inasprire il conflitto con i "calzati", tanto che nel 1577 Giovanni della Croce fu arrestato ad Avila e incarcerato a Toledo: riuscì a fuggire dal carcere conventuale solo nove mesi dopo. Gli scalzi, inoltre, convocarono illegittimamente un capitolo ad Almodóvar del Campo ed elessero un loro provinciale: il nuovo nunzio apostolico Filippo Sega, meno favorevole agli scalzi rispetto al suo predecessore, reagì destituendo il provinciale, abrogando gli atti del capitolo e scomunicando i partecipanti. I conventi degli scalzi vennero sottomessi a due carmelitani della comune osservanza: Juan Gutiérrez e Diego de Cárdenas. Ma nel 1579 il nunzio Sega, su pressione di un consiglio di quattro assistenti nominati da Filippo II, revocò i poteri a Gutiérrez e de Cárdenas e nominò per le comunità della riforma scalza un vicario generale nella persona di Angelo de Salazar, già provinciale di Castiglia al tempo della fondazione del monastero di San Giuseppe. A istanza di Filippo II, con il breve Pia consideratione di papa Gregorio XIII del 22 giugno 1580, gli scalzi furono separati dai carmelitani "calzati" ed eretti in provincia. Il capitolo degli scalzi celebrato ad Alcalá il 3 marzo 1581 rese esecutivo il breve papale ed elaborò un primo corpo completo di costituzioni. Il primo provinciale fu Gerolamo della Madre di Dio Gracián: sotto il suo provincialato, gli scalzi fondarono il loro primo convento fuori dal territorio spagnolo, a Genova (1584); il 10 aprile 1584 fu aperta la prima missione in Congo e l'11 luglio 1585 un gruppo di frati partì per il Messico. Il successore di Gracián, Nicolò di Gesù Maria Doria, fu eletto il 10 maggio 1585. Egli mise un freno all'attività missionaria degli scalzi e agli sviluppi fuori della Spagna, concentrandosi sul consolidamento della riforma: organizzò le case esistenti in distretti o province, ottenne un procuratore generale per gli scalzi a Roma (breve Quae a praedecessoribus di papa Sisto V del 20 settembre 1586), fece abbandonare agli scalzi il rito gerosolimitano in favore di quello romano e, con il breve Cum de statu del 10 luglio 1587, ottenne l'erezione degli scalzi in congregazione con un proprio vicario generale. Nel 1588 Doria fu eletto vicario generale e formò un governo collegiale di sei consiglieri generali (la consulta), orientato a un controllo minuto di tutta la congregazione. Nel 1593 Doria ottenne dal capitolo generale dell'ordine riunito a Cremona la completa separazione giuridica degli scalzi dal tronco principale dei carmelitani e papa Clemente VIII ratificò il voto del capitolo con la bolla Pastoralis officii del 20 dicembre 1593.Nicolò di Gesù Maria Doria, nominato preposto generale fino alla celebrazione di un nuovo capitolo generale, morì pochi mesi dopo: nel 1594 fu eletto il primo vero generale dell'ordine, Elia di San Martino. Nonostante si facesse strada il progetto di fondazioni a Roma e Napoli, l'erezione di conventi scalzi in Italia incontrava l'opposizione di Filippo II e dei superiori dell'ordine: da un lato perché si temeva che la diffusione dell'ordine fuori dalla Spagna avrebbe potuto nuocere all'ideale di orazione e penitenza che erano norma di vita per i frati, dall'altro perché si temeva la direzione e il potere di visita sulle case spagnole da parte di Roma. Il 20 marzo 1597, con la bolla Sacrarum Religionum, papa Clemente VIII concesse agli scalzi l'erezione di un convento a Roma, in Santa Maria della Scala. Subito dopo, il papa sottrasse i due conventi italiani (Genova e Roma) alla giurisdizione dei superiori spagnoli e li sottomise immediatamente alla Santa Sede: il 13 novembre 1600, con il breve In apostolicae dignitatis, eresse i conventi italiani in congregazione indipendente. Non ci sarebbe stata nessuna intercomunione tra i conventi spagnoli e quelli italiani. I carmelitani scalzi vennero, così, a essere costituiti da due congregazioni distinte, con governi e legislazioni proprie: la congregazione spagnola di San Giuseppe e la congregazione italiana di Sant'Elia; alle prime due si aggiunse, nel 1773, quella portoghese di San Filippo, che ebbe però vita effimera. La congregazione spagnola si caratterizzò per il ritiro, il raccoglimento e l'osservanza regolare. L'attività missionaria avviata in Congo fu presto abbandonata e ai religiosi in Messico fu proibito anche l'insegnamento del catechismo agli indigeni: tale atteggiamento, anche se non consentì l'irradiazione apostolica, favorì gli studi e l'attività letteraria. Dalla separazione della provincia portoghese (costituita nel 1588) dalla congregazione spagnola, ebbe origine la congregazione del Portogallo, eretta da papa Clemente XIV con il breve Paterna sedis del 28 aprile 1773. L'attività apostolica della congregazione portoghese fu notevole: si ebbero anche fondazioni nei possedimenti africani di Mozambico e Angola e, soprattutto, in Brasile. Fu soppressa nel 1834. Con l'atto di erezione, papa Clemente VIII diede alla congregazione italiana il potere di fondare case in tutto il mondo, a eccezione della Spagna e dei suoi possedimenti. La congregazione italiana si dotò di costituzioni proprie organizzando una forma di vita ben distinta da quella vigente in Spagna. I carmelitani scalzi della congregazione italiana conobbero una grande e rapida diffusione: nel 1614 i membri erano già più di 300 sparsi in tutta Europa e si procedette alla divisione della congregazione in province (3 in Italia e una rispettivamente in Francia, Polonia e Belgio-Germania);[nel 1650 i frati professi erano 2.326, con 149 conventi organizzati in 14 province e circa 100 missionari sparsi in Persia, India, Arabia, Siria, Libano, Inghilterra e Paesi Bassi (per la formazione dei missionari esistevano tre seminari a Roma, Lovanio e Malta).Le circostanze politiche e sociali della seconda metà del Settecento e dell'inizio dell'Ottocento causarono gravi perdite a tutte le congregazioni dell'ordine. In Francia i disordini iniziarono nel 1766, quando la Commission des réguliers impose delle nuove costituzioni ai carmelitani scalzi. Dopo lo scoppio della Rivoluzione, fu prima sospesa l'emissione dei voti e nel 1790 furono dissolti tutti gli ordini non dediti all'insegnamento o alle opere di carità: molti frati furono ghigliottinati, o fucilati, o deportati in Guyana. Nel 1767 il governo veneto pose limiti all'ammissione di nuovi religiosi e limitò il numero di frati per convento; le soppressioni vere e proprie in Italia, iniziate nel 1797 con la Repubblica cisalpina, si estesero presto al resto della penisola e culminarono nelle leggi eversive del 1866. Quasi tutti i conventi austriaci furono soppressi da Giuseppe II nel 1782 e nel 1783 iniziò la soppressione in Polonia e Lituania. Molti conventi tedeschi andarono persi nel 1802 e nel 1810 furono soppresse le case in Belgio.In Spagna Napoleone nel 1808 ordinò la chiusura di un terzo dei conventi e il fratello Giuseppe continuò la sua politica avversa agli ordini religiosi; la guerra d'indipendenza contro la Francia produsse un ulteriore indebolimento della congregazione spagnola. La timida ripresa che si ebbe dopo il 1824 fu stroncata dalle leggi del 1835, che proibirono di accettare novizi e decretarono la chiusura dei conventi con meno di 12 frati, e dalla soppressione generale del 9 marzo 1836: qualche piccola comunità sopravvisse clandestinamente e molti carmelitani scalzi si trasferirono in Italia o in Francia. I 14 conventi portoghesi furono soppressi con il decreto legge emesso da Joaquim António de Aguiar del 28 maggio 1834 e i frati secolarizzati e dispersi. Quando la situazione politica lo rese possibile, i frati ripresero ovunque la vita comune. Si ebbero però difficoltà in Spagna dove, per effetto del breve di Clemente VIII del 1600, ai religiosi della congregazione italiana era proibito fare fondazioni. I religiosi spagnoli, per superare il problema, si rivolsero al vescovo di Urgell e al cardinale Donnet di Bordeaux per chiedere alla Santa Sede l'unione delle congregazioni di Spagna e Italia. Papa Pio IX affidò lo studio della questione al procuratore generale della congregazione d'Italia, Girolamo dell'Immacolata Gotti, che sottolineò la validità della proposta e fece dei suggerimenti per superare le eventuali difficoltà. Pio IX, mediante il breve Lectissimas Christi turmas del 12 febbraio 1875, decretò la fusione delle congregazioni d'Italia e di Spagna in un unico ordine, soggetto all'autorità di un preposito generale residente a Roma, ed estese a tutto l'ordine le costituzioni già in vigore per la congregazione italiana. Grazie all'unione, la ripresa dell'ordine fu rapida. Furono fondati conventi nei Paesi Bassi e negli Stati Uniti d'America ad opera degli scalzi della Baviera, cacciati dalla Germania nel 1876 per il Kulturkampf;  i frati spagnoli si aprirono all'attività missionaria, che prima dell'unione era loro preclusa, e fecero fondazioni a Cuba, in Argentina, in Cile, in Perù, in Uruguay e in Brasile. Nel Novecento l'attività missionaria dei carmelitani scalzi ebbe un nuovo impulso: nel 1918 fu affidata loro la prefettura apostolica di Urabá, in Colombia; nel 1937 la prefettura apostolica di San Miguel de Sucumbíos, in Ecuador; nel 1945 la prefettura apostolica di Esmeraldas, ancora in Colombia; nel 1952 i frati espulsi dalla Cina presero a lavorare nella prefettura apostolica di Nagoya, in Giappone; nel 1953 fu loro affidata la prefettura apostolica di Kuwait; nel 1954 la prefettura apostolica di Tumaco, sempre in Colombia. Sin dal principio la congregazione italiana di Sant'Elia si caratterizzò per l'impegno missionario: i primi missionari partirono per la Persia nel 1604 e nel 1607 si stabilirono a Esfahan (da Esfahan i carmelitani scalzi partirono per fondare stazioni missionarie di Hormuz, Sindh, Shiraz, Bassora, Jolfa, Mascate e altrove); nel 1627 fu fondata una missione ad Aleppo, che ebbe presto succursali a Tripoli e sul Monte Libano. Nel 1631 il missionario Prospero dello Spirito Santo penetrò in Palestina e riuscì a recuperare all'ordine il convento del Monte Carmelo ed a fondare residenze ad Haifa e a San Giovanni d'Acri. Nel 1642 i carmelitani scalzi di Persia fondarono un convento a Goa, dove fecero il noviziato i missionari Dionigi della Natività e Redento della Croce, i primi martiri dell'ordine. Da Goa i religiosi scesero nel Kerala per lavorare presso i malabaresi: inizialmente la missione fallì, ma nel 1656 papa Alessandro VII affidò ai carmelitani scalzi la Serra del Malabar e nel 1659 inviò il primo missionario-vescovo dell'ordine, Giuseppe di Santa Maria Sebastiani. Nel 1696 ai carmelitani scalzi fu affidato il governo del vicariato apostolico del Gran Mogol, nell'India del Nord, che ressero fino al 1854, e nel 1721 il vicariato apostolico di Babilonia. I missionari dell'ordine penetrarono anche in Cina. Oltre che nelle missioni ad gentes, sin dalle origini i carmelitani scalzi della congregazione di Sant'Elia lavorarono presso i cristiani non cattolici: nel 1615 ebbe inizio la missione in Inghilterra, durata fino al 1850; nel 1625 in Irlanda, dove i frati subirono gravi perdite per le persecuzioni dei puritani; nel 1648 nei Paesi Bassi, durata fino al 1853. Furono importanti centri missionari anche Nauplia e Patrasso, per l'apostolato presso i greco-ortodossi, e, in Polonia, Berdyczów, Głębokie e Wiśniowiec, presso i ruteni. Il terz'ordine regolare è costituito dai membri delle congregazioni religiose aggregate all'ordine. Per ottenere l'aggregazione all'ordine, una congregazione deve accettarne una parte tipica dell'abito (lo scapolare) e la regola, ma deve essere soprattutto animata dallo spirito del Carmelo (accentuazione della vita di orazione, nota mariana). Tra le congregazioni aggregate si ricordano (tra parentesi, la data di aggregazione): quelle maschili dei Carmelitani della Beata Vergine Maria Immacolata (1860) e dei Servi del Paraclito (1956); quelle delle suore carmelitane maricole (1672), teresiane di Veroli (1761), della Provvidenza (1825), della Madre del Carmelo (1866), del Carmelo Apostolico (1868), di Lussemburgo (1886), latine di Trivandrum (1892), di Santa Teresa di Firenze (1903), del Divin Cuore (1904), missionarie di Santa Teresa (1905), missionarie (1906), di Santa Teresa di Torino (1907), di San Giuseppe di Saint-Martin (1908), della Carità (1911), di San Giuseppe di Barcellona (1915), povere bonaerensi di San Giuseppe (1918), Ancelle di Maria Immacolata (1919), di San Giuseppe del Salvador (1920), del Sacro Cuore (1920), missionarie teresiane (1930), del Bambino Gesù (1936), Piccole Suore di Santa Teresa del Bambin Gesù (1936), teresiane di San Giuseppe (1941), teresiane di Verapoly (1956); l'istituto secolare di Nostra Signora della Vita (1947). I membri del terz'ordine secolare, riformato dopo il Concilio Vaticano II, emettono la promessa di tendere alla perfezione evangelica e di vivere secondo l'orientamento spirituale del carisma teresiano. La promessa è emessa dopo due anni di formazione e dopo tre anni di vita nel terz'ordine i membri hanno la facoltà di emettere i voti di castità e obbedienza. Con le costituzioni del 1928 si aggiunsero alcuni dettagli: crocifisso da portare sul lato sinistro del petto, sotto allo scapolare; cintura lunga terminante a una ventina centimetri da terra; corona del rosario alla cintura. Nel 1986 la legislazione relativa all'abito è stata notevolmente semplificata: di colore bruno, costituito da veste talare, cintura, scapolare, cappuccio e, nelle occasioni solenni, cappa e cappuccio bianchi. L'ordine dei carmelitani scalzi accentua fortemente il primato della vita contemplativa sull'azione apostolica. Oltre che alla preghiera e alla meditazione, i carmelitani scalzi si dedicano alla predicazione, all'amministrazione del sacramento della penitenza, alla guida di corsi di spiritualità, all'organizzazione di esercizi e ritiri spirituali. Il ministero parrocchiale è, di norma, escluso dalle forme di apostolato consentiti ai frati, ma è accettato in base alle esigenze delle Chiese locali. I carmelitani scalzi si dedicano anche all'attività missionaria e al lavoro ecumenico. Il principale centro di studi dell'ordine è il collegio internazionale Teresianum (già dei Santi Teresa di Gesù e Giovanni della Croce), fondato il 16 luglio 1935, con facoltà teologica (decorata con il titolo di "pontificia" nel 1963) e istituto di spiritualità (riconosciuto nel 1964). Al Teresianum sono aggregati anche lo Studium Notre-Dame de Vie di Venasque e l'Institute of Theology at Jyotir Bhavan del Kerala. La sede generalizia è in corso d'Italia a Roma. Il governo centrale è costituito da un preposito generale (che porta anche i titoli di priore del convento del Monte Carmelo e di gran cancelliere del Teresianum) e da quattro consiglieri (o definitori) che costituiscono il definitorio generale: preposito e definitori sono eletti con un mandato di sei anni dal capitolo generale, costituito dai padri provinciali e da un religioso eletto da ogni capitolo provinciale. Il capitolo provinciale è triennale ed elegge sia il provinciale con i suoi consiglieri che i priori dei singoli conventi. Alla fine del 2011, l'ordine contava 619 case e 3.994 religiosi, di cui 2.837 sacerdoti.

Lo stemma dell’Ordine dei Carmelitani scalzi : significato : 1 – Il braccio con la spada: evoca il profeta Elia, che secondo il Libro dei Re ha ucciso i 450 profeti di Baal a fil di spada (1 Reis,18). 2 – Il motto: la frase in latino inscritta nello stemma carmelitano è Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum, ovvero “Mi consumo di zelo per la causa del Signore Dio degli eserciti”. 3 – Le 12 stelle sulla corona: alludono alla corona di stelle di Nostra Signora nel Libro dell’Apocalisse. 4 – La corona: evoca la Madonna come Regina del Cielo e della Terra, come anche la stirpe del profeta Elia. 5 – Lo sfondo bianco: secondo un’antica tradizione, rappresenta la Santissima Vergine Maria, pura e priva di qualsiasi peccato, che copre il Carmelo con la sua protezione, oltre a evocare la cappa bianca dei Carmelitani. 6 – Le due stelle su sfondo bianco: indicano il profeta Elia e il suo successore, il profeta Eliseo; secondo altre interpretazioni, le due nature di Gesù, che è vero Dio e vero uomo in un’unica Persona. 7 – Lo sfondo marrone: evoca il monte Carmelo, luogo d’origine dell’Ordine Carmelitano, come anche l’abito carmelitano e il suo scapolare, il cui colore scuro è segno di penitenza e di fedeltà rispetto della regola di Sant’Alberto. 8 – La stella su sfondo marrone: rappresenta la Santissima Vergine Maria, la stella splendente che regna al centro. Le tre stelle presenti sullo stemma carmelitano ricordano anche le virtù teologali (fede, speranza e carità) e i tre voti religiosi (povertà, castità e obbedienza).

L'abito dei frati carmelitani è di colore bruno ed è costituito da veste talare stretta alla vita da una cintura, scapolare e cappuccio; nelle occasioni solenni si aggiungono cappa e cappuccio bianchi. I carmelitani scalzi sono innanzitutto dediti alla vita contemplativa e, secondariamente, alle attività pastorali,direzione spirituale, predicazione e al lavoro missionario. La forma dell'abito fu delineata definitivamente nel capitolo di Alcalá de Henares nel 1581: in sargia o tessuto rozzo, del colore bruno-grigio della lana non tinta, costituito da una tunica lunga fino alle caviglie con le maniche strette, cappuccio corto e stretto, scapolare più corto di un palmo rispetto alla tunica, cappa bianca di un palmo più corta dello scapolare; la cintura, in origine larga due dita e pelosa, fu presto sostituita da una cinghia di cuoio nero con fibbia di ferro o osso; i piedi dovevano essere scalzi (calze e scarpe erano ammesse solo in caso di viaggio o malattia), ma si potevano indossare le alpargatas, calzature con suola di corda e tomaia di canapa (nel 1605 in Italia furono sostituite da sandali di cuoio). Bibliografia : tratto dal sito web di wikipedia

Santa Teresa D'Avila

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Santa Teresa D'Avila

Santa Teresa D’Avila, nacque ad Avila, in Spagna, il 28 marzo 1515, Santa Teresa apparteneva a una famiglia antica e nobile. Fin da bambina mostrò la sua forte passione per la lettura di libri particolari, soprattutto per la Sacra Scrittura. Amava leggere le gesta dei martiri ad uno dei suoi fratelli minori tanto che entrambi iniziarono a nutrire il desiderio di morire per il nome di Gesù, proprio come tanti altri avevano fatto prima di loro. Così un giorno, approfittando di un momento in cui nessuno li vide, fuggirono per andare tra i Mori infedeli con lo scopo di raggiungere in breve tempo un desiderio tanto lodevole . Ma ancora non era giunto il loro momento. Uno zio si accorse della loro assenza, così andò a cercarli e li riportò alla casa paterna. Pensarono dunque di iniziare a condurre una vita solitaria, costruirono una piccola stanza in giardino per ritirarsi in preghiera. All’età di 12 anni Teresa rimase orfana di madre e provò dolore così grande da non riuscire a trovare mai conforto. Pensò allora che le rimaneva un’altra madre a cui affidarsi e ancora più amorosa, la Madonna. Iniziò il suo percorso di preparazione per diventare suora e all’età di 20 anni seguì la chiamata divina. Si ritirò dunque nel monastero dell’Incarnazione del Monte Carmelo in Avila. A causa di una grave malattia fu costretta a lasciare il monastero e ritornare in famiglia. Riuscì a guarire ma si ritrovò persa spiritualmente. Fu solo grazie ad una visione che riuscì a tornare in sé e continuò il suo percorso verso la santificazione. Così si preparò per la grande riforma dei monasteri Carmelitani, che fu accettata da tutti i monasteri delle suore e da numerosi conventi dei frati. In questo periodo della sua vita ebbe la fortuna di incontrare e conoscere San Giovanni della Croce, rinomato per la sua fama di dotto e santo, che rappresentò per lei un supporto indispensabile. Teresa continuava ad accusare problemi di salute, provava forti dolori e patì le penitenze con una forte e decisa serenità di spirito. Così Gesù la ricompensò con sublimi estasi, rivelandole verità altissime che tramandò nelle sue mirabili Opere. Dedicò la sua intera vita a Gesù poichè l’unica strada che vedeva era quella del Signore. Ecco perchè cercò di conquistare in ogni modo e con ogni forza nuovi meriti per raggiungere l’eternità. Ricordiamo la sua preghiera che scrisse per Gesù: “Signore, o patire o morire”. Poche parole che descrivono il suo amore per Lui. Il suo cuore soffriva in attesa di unirsi finalmente al suo diletto Sposo, nella gloria celeste. Così il Signore esaudì i suoi voti e, nel monastero di Alba di Tormes, Teresa morì all’età di 67 anni. Era il 13 ottobre del 1582. Santa Teresa è stata una mistica che ha dedicato tutta la sua vita alla preghiera ma allo stesso tempo non ha mai ignorato la vita che scorreva al di fuori dal suo convento al punto da essere una delle artefici delle riforma della Chiesa. In secondo luogo non ebbe una particolare formazione accademica ma elaborò un pensiero profondo, apprezzato e condiviso tanto da essere proclamata “dottore della Chiesa” il 27 settembre 1970 per opera di Paolo VI. Infine, della sua storia si sono occupati tutti i Papi degli ultimi tempi, che scrissero pagine appassionate e ricche di ammirazione, in particolare Montini e Ratzinger. papa Benedetto XVI è stato uno dei più accesi sostenitori di Santa Teresa d’Avila. Il 2 febbraio 2011, durante un’udienza generale il papa ricorda i tratti salienti della vita della santa: “In primo luogo, Santa Teresa propone le virtù evangeliche come base di tutta la vita cristiana e umana: in particolare, il distacco dai beni o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l’amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l’umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell’audacia cristiana; la speranza teologale, che descrive come sete di acqua viva. Senza dimenticare le virtù umane: affabilità, veracità, modestia, cortesia, allegria, cultura”. Prosegue dicendo: “In secondo luogo Santa Teresa propone una profonda sintonia con i grandi personaggi biblici e l’ascolto vivo della Parola di Dio. Ella si sente in consonanza soprattutto con la sposa del Cantico dei Cantici e con l’apostolo Paolo, oltre che con il Cristo della Passione e con il Gesù Eucaristico. La Santa sottolinea poi quanto è essenziale la preghiera. Pregare, dice, significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama. L’idea di Santa Teresa coincide con la definizione che san Tommaso d’Aquino dà della carità teologale, come “amicitia quaedam hominis ad Deum”, un tipo di amicizia dell’uomo con Dio, che per primo ha offerto la sua amicizia all’uomo; l’iniziativa viene da Dio. La preghiera è vita e si sviluppa gradualmente di pari passo con la crescita della vita cristiana: comincia con la preghiera vocale, passa per l’interiorizzazione attraverso la meditazione e il raccoglimento, fino a giungere all’unione d’amore con Cristo e con la Santissima Trinità”. Benedetto XVI prosegue il suo intervento puntualizzando un altro tema caro ed essenziale nella vita della santa: la centralità dell’umanità di Cristo. Il papa dice infatti: “Per Teresa, la vita cristiana è relazione personale con Gesù, che culmina nell’unione con Lui per grazia, per amore e per imitazione. Da ciò l’importanza che ella attribuisce alla meditazione della Passione e all’Eucaristia, come presenza di Cristo, nella Chiesa, per la vita di ogni credente e come cuore della liturgia. Santa Teresa vive un amore incondizionato alla Chiesa. Riforma l’Ordine carmelitano con l’intenzione di meglio servire e meglio difendere la “Santa Chiesa Cattolica Romana”, ed è disposta a dare la vita per essa”. Conclude il suo discorso esponendo un ultimo aspetto essenziale della dottrina teresiana “la perfezione, come aspirazione di tutta la vita cristiana e meta finale della stessa. La santa ha un’idea molto chiara della “pienezza” di Cristo, rivissuta dal cristiano. Alla fine del percorso del Castello interiore, nell’ultima “stanza” Teresa descrive tale pienezza, realizzata nell’unione a Cristo attraverso il mistero della sua umanità. Nella nostra società, spesso carente di valori spirituali, Santa Teresa ci insegna ad essere testimoni instancabili di Dio, della sua presenza e della sua azione, ci insegna a sentire realmente questa sete di Dio che esiste nella profondità del nostro cuore, questo desiderio di vedere Dio, di cercare Dio, di essere in colloquio con Lui e di essere suoi amici. Questa è l’amicizia che è necessaria per noi tutti e che dobbiamo cercare, giorno per giorno, di nuovo”. Appare evidente dunque come Santa Teresa sia un esempio per tutti i cristiani. La sua profonda dedizione per la preghiera, la voglia di dedicare a Dio ogni giorno della propria vita e trovare in lui quell’amico vero e puro. Lei è l’esempio che il tempo dedicato alla preghiera non è tempo perso, è tempo nel quale si apre la strada per rivolgere a Dio il nostro amore. Bibliografia: tratto dal sito https://www.myriamartesacrastore.it/blog/la-storia-di-santa-teresa-davila.html

San Giovanni della Croce

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San Giovanni della Croce

San Giovanni della Croce, Giovanni della Croce, al secolo Juan de Yepes Álvarez (in spagnolo: Juan de la Cruz; Fontiveros, 24 giugno 1542 – Úbeda, 14 dicembre 1591), è stato un presbitero e santo spagnolo, cofondatore dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi. I suoi scritti furono pubblicati per la prima volta nel 1618. Fu beatificato nel 1675 da Clemente X, proclamato santo da Benedetto XIII nel 1726 e dichiarato dottore della Chiesa da Pio XI nel 1926. La sua memoria liturgica è celebrata il 14 dicembre o il 24 novembre. La Chiesa cattolica lo ha definito doctor mysticus ("dottore mistico, maestro della mistica"), mentre la Chiesa anglicana lo venera come un "maestro della fede". Nacque a Fontiveros vicino ad Avila, un borgo della Vecchia Castiglia spagnola, nel 1542. Il padre Gonzalo de Yepes, di famiglia ebraica toledana convertita al cristianesimo, fu cacciato di casa e diseredato per aver sposato una povera tessitrice di seta, Catalina Álvarez. Orfano di padre già in tenera età, si trovò a doversi spostare di città in città con la laboriosa e attiva madre per il loro sostentamento economico, dovendo quindi studiare e lavorare in luoghi sempre diversi. Egli manifestò fin da piccolo inclinazione alla carità verso i poveri e ancora di più alla preghiera contemplativa. Nel periodo tra il 1551 e il 1559 ebbe una formazione culturale ed artigiana nel "Colegio de los doctrinos" di Medina del Campo (oggi nella provincia di Valladolid), dove si era trasferito con la madre. Successivamente fu falegname, sarto, pittore e intagliatore; quindi accolito della Chiesa della Maddalena, commesso e aiutante infermiere nell'Ospedale della Concezione. Nel 1563 entrò nell'Ordine Carmelitano chiedendo di vivere senza attenuazioni la rigida e antica regola carmelitana non più attuata. Tra il 1564 e il 1568 completò gli studi teologici e filosofici all'Università di Salamanca. Nel 1567 fu ordinato sacerdote e tra settembre e ottobre dello stesso anno incontrò Teresa d'Avila che, anch'essa carmelitana, stava attuando una riforma del Carmelo con l'autorizzazione del Priore Generale dell'Ordine, padre Rossi. Conquistato dalle sue idee riformatrici ne appoggiò in pieno il progetto in vista dell'inizio della riforma dell'ordine dei Carmelitani; a sua volta santa Teresa lo prese in grande considerazione, chiamandolo il suo "piccolo Seneca", con scherzoso ma affettuoso riferimento alla sua corporatura esile, e definendolo "padre della sua anima". Il 9 agosto 1568, dopo numerosi colloqui con Teresa d'Ávila, partì per Valladolid dove fondò il primo monastero di Carmelitane Scalze. Qui rimase fino ad ottobre, informandosi dettagliatamente sulla nuova vita riformata; all'inizio di ottobre andò a Duruelo (Segovia), dove adattò un cascinale a primo convento di Carmelitani Scalzi; il 28 novembre, prima domenica d'Avvento, vi inaugurò la vita riformata; in tale occasione assunse il nome di Giovanni della Croce. All'interno dell'ordine riformato tra il 1572 e il 1577 svolse attività di guida spirituale nel monastero dell'Incarnazione di Ávila. Tra le varie sofferenze, fisiche e spirituali, che ebbe a sperimentare a seguito della sua adesione alla riforma, spicca in particolare l'arresto e la carcerazione, il 2 dicembre 1577, nella prigione del convento dei Carmelitani Calzati di Toledo, per un incidente nel monastero di Ávila di cui venne ritenuto erroneamente responsabile. Rimase rinchiuso per più di otto mesi, sottoposto a maltrattamenti e torture fisiche, psicologiche e spirituali, trovando peraltro l'ispirazione per comporre alcuni dei suoi poemi mistici più noti e riuscì alla fine a fuggire, tra le 2 e le 3 del mattino del 17 agosto 1578, in modo assai avventuroso.Riprese gradualmente dopo il carcere diversi incarichi importanti nell'ordine carmelitano riformato che aveva acquisito progressivamente autonomia. Nel 1584 terminò a Granada la prima redazione del Cantico Spirituale, mentre in questi anni scrisse e perfezionò i suoi principali trattati spirituali. Nell'ultimo periodo della sua vita venne abbandonato dalla maggior parte dei suoi seguaci. Nel 1591 fu dimesso dagli incarichi direttivi nell'ordine e, ammalato, il 28 settembre si recò ad Úbeda (Jaén), dove trascorse gli ultimi mesi di vita. Qui morì alle ore 24 della notte tra il venerdì 13 e il sabato 14 dicembre 1591 all'età di 49 anni. Fu poeta e teologo, autore di svariati trattati teologici riguardanti soprattutto la preghiera e il «cammino spirituale dell'anima verso Dio e in Dio». La sua opera sintetizza la tradizione spirituale cristiana precedente. La sua dottrina vuole che l'uomo, attraverso il passaggio nelle tre fasi («purgativa, illuminativa e unitiva») si liberi progressivamente da ogni attaccamento e da ogni senso del possesso per essere del tutto puro e libero di unirsi alla divinità («luce tenebrosa e tenebra luminosa»). Porta il paragone per cui, se si fissa di fronte e senza schermo il sole, per la troppa luminosità l'occhio avrà l'impressione di vedere una macchia nera.Un suo detto era: «Dio umilia grandemente l'anima per innalzarla poi molto». Giovanni della Croce è considerato uno dei maggiori poeti in lingua spagnola. Ciò che meglio definisce la sua poesia è l'intensità espressiva, grazie all'adattamento e all'equilibrio di ognuna delle immagini da lui adoperate. A ciò contribuisce anche la sua tendenza ad abbandonare il registro discorsivo, eliminando espressioni "neutre" per cercare costantemente una giustapposizione tra elementi poetici di grande plasticità. Sebbene l'intero corpus delle sue poesie ammonti a non più di 2500 versi, due di esse – il Cantico spirituale e la Notte oscura dell'anima – sono considerate tra le migliori poesie in lingua spagnola, sia dal punto di vista formale e stilistico, che per l'immaginazione ed il simbolismo. Il Cantico spirituale è un'egloga in cui la "sposa" (che rappresenta l'anima) ricerca lo "sposo" (che rappresenta Gesù Cristo), ed è angosciata per averlo perso; entrambi sono pieni di gioia una volta che si sono ritrovati e riuniti. Il componimento potrebbe essere visto come una libera versione in lingua spagnola del Cantico dei cantici in un'epoca in cui era proibito tradurre il testo della Bibbia in lingua volgare. La Notte oscura dell'anima (da cui l'omonimo concetto spirituale prende il nome) narra il viaggio dell'anima dalla propria sede corporea verso l'unione con Dio. Esso avviene durante la "notte", che rappresenta le "avversità" e gli "ostacoli" che ella incontra nello staccarsi dal "mondo sensibile" per raggiungere la "luce" dell'unione con il Creatore. Vi sono diversi gradi in questa notte, che sono raccontati e descritti in strofe successive. Giovanni scrisse anche tre trattati di teologia mistica, due dei quali relativi alle due poesie sopra citate, (il Cantico spirituale e la Notte oscura dell'anima) commentando e spiegando il significato del testo poetico verso per verso, perfino parola per parola. Effettivamente egli non segue lo schema delle composizioni alla lettera, ma scrive liberamente sul soggetto di cui sta parlando. Il terzo trattato, la Salita del Monte Carmelo, è uno studio più sistematico dello sforzo ascetico dell'anima in ricerca dell'unione perfetta con Dio e degli eventi "mistici" che accadono durante le varie fasi del cammino: introdotto da una poesia, il testo ha un forte significato teologico e letterario, dove il Monte rappresenta la meta della liberazione dell'anima da ogni peso che la separa da Dio e dal bene assoluto. Queste tre opere, insieme ai suoi Pensieri sull'amore e sulla pace e agli scritti di Teresa d'Avila, sono considerate tra le più importanti opere mistiche in lingua spagnola, ed hanno influenzato molti scrittori spirituali successivi, tra cui T. S. Eliot, Teresa di Lisieux, Edith Stein (divenuta carmelitana col nome di Teresa Benedetta della Croce), e Thomas Merton. I suoi scritti hanno influenzato profondamente la mistica cristiana ed anche filosofi come Jacques Maritain, teologi come Hans Urs von Balthasar, pacifisti come Dorothy Day, Daniel Berrigan, Philip Berrigan e Allen Ginsberg. Papa Giovanni Paolo II fu fortemente influenzato in gioventù dagli scritti di S.Giovanni della Croce, fino a valutare un eventuale ingresso nell'ordine carmelitano.Fonte wikipedia

San Giuseppe

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San Giuseppe

San Giuseppe, padre putativo di Gesù, vita,opere,storia, secondo il Nuovo Testamento, è lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù, uomo giusto, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa e fu dichiarato patrono della Chiesa . Secondo i Vangeli il vero padre di Gesù è Dio, Maria lo concepì senza unirsi carnalmente con Giuseppe, il quale in un primo momento voleva ripudiare Maria, ma un angelo gli rivelò il segreto e quindi accettò di sposare Maria e di riconoscere Gesù legalmente come suo figlio. Giuseppe oltre ad essere un falegname probabilmente aveva una impresa legata alle costruzioni, quindi probabilmente apparteneva ad una famiglia agiata. Maria era la figlia di Anna  e di Gioacchino, Secondo alcuni vangeli apocrifi, Maria sarebbe stata figlia di Anna e del ricco Gioacchino; questa interpretazione sulla professione imprenditoriale di Giuseppe meglio si concilia con la condizione economica benestante della sua promessa sposa (rispetto ad avere due genitori di Gesù entrambi discendenti di re Davide, ma con Giuseppe di modeste origini). Tra gli ebrei dell'epoca, i bambini a cinque anni incominciavano l'istruzione religiosa e l'apprendimento del mestiere del padre. Giuseppe esercitò la sua professione a Nazaret, dove viveva con la famiglia. Potrebbe avere lavorato per qualche tempo anche a Cafarnao; a sostegno di questa ipotesi viene citato un passo del Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù predica nella sinagoga di Cafarnao e i suoi oppositori dicono di lui che è il figlio di Giuseppe cosa che dimostrerebbe che essi conoscevano Giuseppe. Alcuni studiosi ipotizzano che potrebbe avere lavorato per un certo periodo, probabilmente insieme con Gesù, anche a Zippori, importante città situata a pochi chilometri da Nazareth. Le notizie dei Vangeli canonici su san Giuseppe sono molto scarne. Parlano di lui Matteo e Luca: essi ci dicono che Giuseppe era un discendente del re Davide e abitava nella piccola città di Nazareth]. Le versioni dei due evangelisti divergono nell'elencare la genealogia di Gesù, compreso chi fosse il padre di Giuseppe: Luca 3,23-38: Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli. Matteo 1,1-16: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Secondo la tradizione dei Vangeli apocrifi, in particolar modo il Protovangelo di Giacomo (II secolo), Giuseppe, discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme, prima del matrimonio con Maria si sposò con una donna che gli diede sei figli: quattro maschi (Giuda, Giuseppe, Giacomo e Simeone) e due femmine (Lisia e Lidia). Rimase però ben presto vedovo e con i figli a carico. Gli apocrifi cercavano in tal modo di giustificare la presenza di fratelli di Gesù nei Vangeli. La Chiesa ortodossa accoglie questa tradizione (come ben mostrato nei mosaici della chiesa di San Salvatore in Chora a Costantinopoli), mentre la Chiesa cattolica rifiuta questa interpretazione e sostiene che si trattasse di cugini o altri parenti stretti (in greco antico vi sono due termini distinti: adelfòi, fratelli, e sìnghnetoi, cugini, ma in ebraico e in aramaico una sola parola, ah, è usata per indicare sia fratelli sia cugini. Seguendo ancora la tradizione apocrifa, Giuseppe, già in età avanzata, si unì ad altri celibi della Palestina, tutti discendenti di Davide, richiamati da alcuni banditori provenienti da Gerusalemme. Il sacerdote Zaccaria aveva infatti ordinato che fossero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, futura madre di Gesù, allora dodicenne, che era vissuta per nove anni nel tempio. Per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all'altare il loro bastone e Dio stesso ne avrebbe poi fatto fiorire uno, scegliendo così il prescelto. Zaccaria entrato nel tempio chiese responso nella preghiera, poi restituì i bastoni ai legittimi proprietari; l'ultimo era quello di Giuseppe, era in fiore e da esso uscì una colomba che si pose sul suo capo. Giuseppe si schermì, facendo presente la differenza d'età, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio. Allora questi, pieno di timore, prese Maria in custodia nella propria casa. La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l'episodio dell'Annunciazione: “Nel sesto mese l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria.”Giuseppe è presentato come il discendente di Davide, sposo della Vergine divenuta protagonista del Mistero dell'Incarnazione. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un figlio "che sarà chiamato Figlio dell'Altissimo". L'angelo, a conferma dell'evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta, benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza.In queste circostanze «Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto»  come dice il Vangelo secondo Matteo. L'uomo non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie: certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile senza esporre Maria alla pena della lapidazione. Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che gli disse: «Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone il mistero della maternità e le successive responsabilità. Secondo il racconto del Vangelo secondo Luca, qualche mese dopo Giuseppe si spostò insieme con Maria dalla città di Nazaret, in Galilea, a Betlemme, in Giudea, a causa di un censimento (vedi Censimento di Quirinio) della popolazione di tutto l'impero, per il quale anche lui doveva registrarsi nella sua città d'origine, insieme con la sposa. Mentre i due si trovavano a Betlemme, giunse il momento del parto e Maria diede alla luce il figlio «che fasciato fu posto in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell'albergo». Giuseppe fu dunque testimone dell'adorazione del piccolo da parte di pastori avvisati da un angelo e, più tardi, anche di quella dei magi, venuti dal lontano Oriente, secondo l'indicazione ottenuta dagli astri e da una stella in particolare. I magi «entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono»: Giuseppe non è citato né visto, ma certamente era presente all'avvenimento. Dopo otto giorni dalla nascita, secondo la legge di Mosè, avvenne la circoncisione del bambino, cui Giuseppe impose il nome Gesù. Quaranta giorni dopo, lui e Maria portarono il neonato a Gerusalemme per la presentazione al tempio e lì assistettero alla profetica esaltazione del vecchio Simeone, che predisse un futuro glorioso per il bambino, segno di contraddizione e gloria del suo popolo Israele. Dopo la presentazione al tempio, l'evangelista Luca ci narra che fecero ritorno in Galilea, alla loro città, Nazareth. La Sacra Famiglia rimase a Betlemme per un periodo non ben determinato, sembra da un minimo di 40 giorni (Luca 2,22;2,39[ a un massimo di due anni (Matteo 2,16, dopo di che, secondo Matteo, avvertito in sogno da un angelo, Giuseppe con la sposa e il figlio fuggì in Egitto a causa della persecuzione del re Erode che, avendo udito il racconto dei magi, voleva liberarsi di quel "nascituro re dei Giudei", massacrando tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù. Dopo un periodo di esilio non ben determinato, ricevuto in sogno l'ordine di partire, poiché Erode era morto (non poteva essere morto prima della nascita di colui che voleva uccidere), tornò con la famiglia a Nazaret, non sostando però a Betlemme a causa della monarchia di Archelao, non meno pericolosa di quella del padre. Luca non menziona il soggiorno in Egitto, ma concorda sul ritorno a Nazaret, dove Gesù visse fino all'inizio della sua vita pubblica.I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della fanciullezza di Gesù, durante il quale questi, attraverso una vita apparentemente normale, si preparava alla sua missione. Gesù, a dodici anni, probabilmente in occasione del suo Bar mitzvah, l'iniziazione religiosa degli ebrei, partì come pellegrino insieme coi genitori verso Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi però i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme, senza che Maria e Giuseppe se ne accorgessero. Passato un giorno se ne resero conto e incominciarono a cercarlo, trovandolo dopo tre giorni di ricerche nel tempio, seduto a discutere con i dottori. Maria gli domandò: "Figlio, perché hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo". La risposta di Gesù "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" lasciò i genitori senza parole. Tornato a Nazaret, Gesù cresceva giovane e forte, sotto la guida dei genitori. Quando incominciò la sua vita pubblica, molto probabilmente Giuseppe era già morto. Infatti, non è mai più menzionato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (talvolta Gesù è chiamato "figlio di Giuseppe", ma questo non implica che fosse ancora vivente). Maria è presente da sola alla crocifissione di Gesù, cosa che non sarebbe avvenuta se Giuseppe fosse stato vivo. Inoltre, quando Gesù è in croce, affida Maria al suo discepolo Giovanni, il quale "da quel momento la prese nella sua casa", il che non sarebbe stato necessario se Giuseppe fosse stato in vita.Mentre i Vangeli canonici non dicono nulla sulla morte di Giuseppe, qualche notizia si trova nei Vangeli apocrifi. Secondo l'apocrifo Storia di Giuseppe il falegname, che descrive dettagliatamente il trapasso del santo, Giuseppe aveva ben 111 anni quando morì, godendo sempre di un'ottima salute e lavorando fino al suo ultimo giorno. Avvertito da un angelo della prossima morte, si recò a Gerusalemme e al suo ritorno venne colpito dalla malattia che l'avrebbe ucciso. Stremato nel suo letto, sconvolto dai tormenti e travagliato nella mente, solo la consolazione di Gesù riuscì a calmarlo. Circondato dalla sposa, venne liberato dalla visione della morte e dell'Oltretomba, scacciate subito da Gesù stesso. L'anima del santo venne quindi raccolta dagli arcangeli e condotta in Paradiso. Il suo corpo venne poi sepolto con tutti gli onori alla presenza dell'intera Nazareth. Ancora oggi non sappiamo dove si trovi la tomba del santo; nelle cronache dei pellegrini che visitarono la Palestina si trovano alcune indicazioni circa il sepolcro di san Giuseppe. Due riguardano Nazaret e altre due Gerusalemme, nella valle del Cedron. Non esistono, tuttavia, argomenti consistenti al riguardo.Fonte wikipedia

Fontana piazza Fontana Grande

fontana grande viterbo centro foto anna zelli

Fontana p. Fontana Grande

La Fontana di piazza Fontana Grande, Viterbo,  si trova è a metà strada tra via Cavour e via Garibaldi, è una delle tante fontane che ornano le piazze di Viterbo, di epoca medioevale, fu costruita tra il 1206 e il 1279, venne restaurata nel 1424. Il nome di questa fontana in origine era di “fons Serpalis”, le derivava dalla presenza di una siepe che la circondava, per corruzione il termine separi divenne sine pari, senza uguali. La realizzazione di questa fontana venne affidata a Pietro e Bertoldo di Giovanni mastri scalpellini i cui nomi sono riportati in una epigrafe nella parte inferiore della vasca. La nuova fontana Grande prese il posto di una precedente che in un documento del libro dei Censi della Chiesa Romana era ricordata nel 1192 come fons Serpalis e sottoposta a restauro nel 1206. Questo nome le derivava dalla presenza di una serie di colonnine unite da barre di ferro orizzontali che fungono da recinto, dal latino “sepes”, ripari. L’appellativo “Grande” compare per la prima volta in un protocollo notarile dell’11 maggio 1483 stilato da Tommaso D’Andrea, in cui si ricorda una casa ubicata nella contrada “Fontana Grande”. La struttura a croce greca della vasca inferiore e la colonna centrale su cui si impostano le due tazze sovrapposte e sovrastate da un pinnacolo, sono il frutto di una serie di rimaneggiamenti che si susseguirono nel corso dei secoli, a cominciare da quelli condotti nel 1279, per volere del podestà Orso Orsini, a cui seguirono nel 1474 i restauri della vasca inferiore e la nuova realizzazione della parte centrale della colonna e delle quattro teste di leone. Le piramidi oggi inserite nella parte inferiore della struttura risalgono al 1827 e vennero eseguite contemporaneamente al restauro della parte superiore del tronco centrale. Queste aggiunte donano un carattere gotico della fontana, che prende slancio dalla struttura di base romanica.

Gradini fontana grande

gradini fontana a piazza fontana grande viterbo

gradini fontana Grande

Gradini fontana piazza Fontana Grande, questa fontana poggia su un basamento formato di 5 gradini.

Fontanella a piazza Fontana Grande

fontanella fontana grande piazza fontana grande viterbo foto anna zelli

Fontanella p. Fontana Grande

Fontanella, accanto alla Fontana Grande c'è una deliziosa fontanella.

Vie di accesso a Piazza Fontana Grande

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Via Saffi

Via delle Fabbriche

Via degli Scalzi

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via Cavour

via Garibaldi

Piazza Fontana Grande

Mappa piazza Fontana Grande - Mappa Colle San Sisto

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Mappa piazza Fontana Grande - Mappa Colle San Sisto

Fotografie Piazza Fontana Grande Viterbo

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Piazza Fontana Grande Viterbo centro storico, info foto Anna Zelli - Piazze di Viterbo centro

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Piazza Fontana Grande Viterbo centro storico, info foto Anna Zelli - Piazze di Viterbo centro

Fontana piazza Fontana Grande Viterbo centro storico

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Fontana piazza Fontana Grande - Fontane lavatoi di Viterbo

Gradini fontana a piazza Fontana Grande Viterbo

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Fontana piazza Fontana Grande - Fontane lavatoi di Viterbo

Fontanella piazza Fontana Grande Viterbo centro storico

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Fontanella piazza Fontana Grande - Fontane lavatoi di Viterbo

Ex Chiesa Santi Teresa e Giuseppe Viterbo centro storico

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ex Chiesa Santi Teresa e Giuseppe - Chiese di Viterbo centro

Ex Monastero Carmelitani Scalzi piazza Fontana Grande Viterbo

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Ex Monanastero Carmelitani Scalzi Viterbo centro storico info foto Anna Zelli

Cupola ex Chiesa Santi Teresa e Giuseppe Viterbo centro storico

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Cupola ex chiesa santi Teresa e Giuseppe - Cupole di Viterbo centro

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Cupola ex chiesa santi Teresa e Giuseppe - Cupole di Viterbo centro

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Cupola ex chiesa santi Teresa e Giuseppe - Cupole di Viterbo centro

Stemma Chiesa dei SS Teresa e Giuseppe piazza Fontana Grande Viterbo

stemma alla facciata ex chiesa santi teresa e giuseppe piazza fontana grande viterbo

Stemma ex chiesa dei Santi Teresa e Giuseppe - Stemmi a Viterbo

Scritta sul frontone ex Chiesa Santi Teresa e Giovanni piazza Fontana Grande Viterbo

scritta sul frontone ex chiesa santi teresa e giovanni piazza fontana grande viterbo

Scritta Frontone ex chiesa dei Santi Teresa e Giuseppe -  Viterbo

Piazza Fontana Grande Viterbo centro storico

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Piazza Fontana Grande Viterbo centro storico

a vedere a piazza Fontana Grande Viterbo centro storico

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Ex Monanastero
Carmelitani Scalzi
Cupola ex chiesa santi Teresa e Giuseppe Stemma ex chiesa
dei Santi Teresa e Giuseppe
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gradini fontana Grande Scritta Frontone ex chiesa Santi Teresa e Giuseppe

San Giuseppe

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Ordine Carmelitani Scalzi Santa Teresa D'Avila San Giovanni della Croce

Festa di Santa Rosa Città di Viterbo centro storico

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Santa Rosa Viterbo Santuario Santa Rosa Viterbo Cupola Santuario S. Rosa Vt
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Miracoli S. Rosa Viterbo Eventi S. Rosa Viterbo Festa Santa Rosa Viterbo

Da vedere nei dintorni di Piazza Fontana Grande

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Piazza San Sisto

via Annio

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Colle San Sisto Viterbo

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