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Via Garibaldi, Viterbo, centro storico, la via è intitolata all'eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi,.Come arrivare a via Garibaldi : da piazza San Sisto, piazza Fontana Grande, via Cavour, via Saffi, via delle Fabbriche, via dei Mille, via Vetulonia, via della Bomtà, via del Meone, via Tommaso Carletti. Da ammirare il palazzo dove nacqua Mario Fani, e qui sulla facciata c'è una edicola sacra, una madonna con bambino e una targa a ricordo di Mario Fani fondatore della Società della Gioventù Cattolica, a lui è dedicata una piazza presso via Saffi.Lungo la via vi sono palazzi i cui portoni sono sovrastati da scritte, ed alcuni stemmi dei quali purtroppo non ne conosco l'attribuzione. Se ci si incammina lungo via Garibaldi in direzione di porta Romana, sulla sinistra a piazza San Sisto, c'è da ammirare la omonima chiesa, ed è da questa chiesa che il sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, ogni anno, la sera del 3 settembre, in onore della patrona della città Santa Rosa,  sorreggono la enorme macchina che parte proprio da qui e percorre la via Garibaldi, la via Cavour, la via Roma, piazza delle Erbe , Corso Italia, fino alla salita di via Santa Rosa, in fondo alla quale c'è il Santuario dedicato alla Santa, e dove è conservato il suo corpo. Questa macchina fa parte del patrimonio dell'Unesco.

Edicola Sacra al Palazzo Fani

edicola sacra madonna con bambino viterbo info e foto anna zelli

Edicola Sacra via Garibaldi

L’Edicola sacra, Madonna con Bambino, alla facciata di Palazzo Fani a via Garibaldi risale al l 1944 con la che Precedentemente al palazzo Fani vi era il Palazzo Firenzuoli risalente al  XV secolo.

Palazzo  Fani

palazzo in cui nacque mario fani a via garibaldi viterbo info e foto anna zelli

Palazzo Fani Via Garibaldi

Palazzo Fani, via Garibaldi, Viterbo, qui nacque Mario Fani, il Fondatore della Società della Gioventù Cattolica, Il palazzo in precedenza apparteneva alla Famiglia Florenzuoli.

Famiglia Fiorenzuoli

famiglia florenzuoli ex proprietaria palazzo fani via garibaldi viterbo

Famiglia Florenzuoli via Garibaldi

Famiglia Fiorenzuoli o Florenzuoli, era una famiglia di Viterbo, risalnte al secolo XV fino al XVII.  Originaria di Sutri, la famiglia viene iscritta al patriziato viterbese nel 1505 ma si era trasferita nel capoluogo della Tuscia già alla metà del XV secolo con Michele che fu uditore del Rettore della Provincia del Patrimonio. Nel 1479 era proconsole del Collegio degli avvocati, procuratori e notai di Viterbo e, per i suoi meriti, fu fatto Conte Palatino dall’imperatore Federico III. Aveva sposato Evangelista di Mariotto e tra i suoi figli c’è Pier Francesco, architetto e ingegnere militare di grande importanza per i lavori progettati e diretti sia nello Stato pontificio che a Firenze. Suoi figli furono Ascanio e Placido. Il fratello di Pier Francesco, Aristofile, si laureò in medicina e filosofia, fu lettore di filosofia all’Università di Roma (1481) ed esercitò la professione medica. Suo unico figlio maschio fu Michele che fu anche lui medico; prese parte alla magistratura cittadina tra il 1551 e il 1569, figurando tra i priori e i conservatori, fu fabbriciere della chiesa cattedrale nel periodo in cui a Ludovico da Cortona veniva affidato il compito di edificare nuove cappelle in pietra. Nel 1564 faceva parte dei santesi del convento domenicano di Santa Maria della Quercia. Nel 1542 era stato rettore dell’Ospedale Comunale di Viterbo e nel 1575 ne era prefetto e amministratore. Dei suoi figli si ricordano Marco Antonio che fu incaricato dalla Comunità della fabbrica della chiesa e del convento dei Cappuccini fuori Porta San Matteo; Girolamo che fu laureato in utroque iure, arcidiacono della Cattedrale, convisitatore del vescovo Girolamo Matteucci nella Visita pastorale da questo condotta nel 1597, poi in disaccordo con il suo vescovo al punto da essere per breve tempo imprigionato, infine nel 1617 era nominato protonotario apostolico; Virginia sposata con Antonio Spreca fu erede dei beni di Girolamo che poi trasmise alla pronipote Cecilia Pollastri andata sposa in casa Torellini con obbligo di aggiungere al proprio cognome quello di Fiorenzuoli. Nel 1615 Girolamo Fiorenzuoli, allora Arcidiacono della Cattedrale di Viterbo, aveva creato un beneficio con peso di messe e con diritto di nomina del cappellano alla sua casa e, in assenza di eredi, con nomina da parte dell’Arcidiacono pro-tempore. Nel 1785 il diritto di nomina è esercitato da Angelica Torellini erede di Dionisio Pollastri a sua volta erede di casa Fiorenzuoli. Ebbero abitazione in Piazza Fontana Grande (palazzo passato poi ai Pollastri e poi ai Fani) i Fiorenzuoli ebbero  sepoltura nella chiesa di Santa Maria del Paradiso. BIBL. – N. Angeli, Famiglie viterbesi. Storia e cronaca. Genealogie e stemmi, Viterbo 2003, pp. 229-230; G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Viterbo 1940, Vol. II. Parte II, p. 353. Scheda di Luciano Osbat – Cersal. 

Mario Fani

mario fani viterbese fondatore di azione cattolica vita opere storia

Mario Fani

Mario Fani , fondatore della Gioventù Cattolica, nasce a Viterbo il 23 ottobre 1845 muore a Livorno, il 4 ottobre 1869 a soli 24 anni, è stato un politico italiano, protagonista del movimento cattolico nazionale. La famiglia nobile viterbese, lo fa studiare a Roma presso i Benedettini della Basilica di San Paolo fuori le mura. Qui maturò il progetto di fondare una associazione di giovani cattolici, il 23 giugno 1867 si incontra con Giovanni Acquaderni per fissare il programma della Società della Gioventù Cattolica. Nel 1868 fonda a Viterbo uno dei primi circoli: il “Santa Rosa” insieme al fratello Fabio, ad Alessandro Medichini, a Roberto Gradari e Scipione Lucchesi,  il 6 marzo, ci sarà la prima adunanza del Circolo Santa Rosa, dedicato alla patrona di Viterbo. Il Circolo intitolato alla patrona di Viterbo fu il primo in Italia ad ottenere la “patente”, cioè il riconoscimento di Società della Gioventù Cattolica Italiana; ciò avvenne nel maggio del 1868, le prime riunioni si tennero in casa di Mario Fani. Tra le iniziative di quei giovani ricordiamo: la pubblicazione dell’opuscolo intitolato “La Rosa. Strenna viterbese“, in cui si illustravano le antiche gesta della città accanto a vicende attuali, racconti morali, preghiere, festività, racconti sui santi; la raccolta dell’obolo di S.Pietro, i pellegrinaggi, la gestione di una biblioteca circolante (presso il palazzo Chigi), le scuole serali (la prima in seminario). Per iniziativa del Circolo sorsero la Società per gli interessi cattolici e la Società cattolica operaia (1872) . Nel 1887 si tenne un’Accademia per celebrare il giubileo sacerdotale di Leone XIII e da allora sorse una sezione filodrammatica. Dal 1891 fu creato un comitato per la distribuzione ai poveri dei corredi usati. Sulla spinta della Rerum Novarum nel 1893 il Circolo inaugurò una sezione operaia (con la collaborazione di Pietro La Fontaine futuro Patriarca di Venezia), uno dei santi sacerdoti Viterbesi di quegli anni. Nel 1898 fu istituito il Segretariato del popolo per aiutare i poveri in ogni atto della vita morale, civile e sociale: raccogliere le richieste e trovare collegialmente una soluzione a questioni legali e pratiche assistenziali: un centro di ascolto ante litteram. Tornando alla vita di Mario Fani e alle sue iniziative, Papa Pio IX, il 2 maggio 1868 indirizza ai diletti figli il conte Giovanni Acquaderni ed al Superiore Consiglio della Società della Gioventù Cattolica, il Breve Dum Filii Belial e ne ufficializza la costituzione.  Se fino ad allora i cattolici erano impegnati nelle opere di misericordia materiale, occorreva da allora in poi coinvolgerli in quelle di misericordia spirituale. Che proseguisse l’attività delle Società di San Vincenzo (la più antica aggregazione di laici nella Chiesa) ma che si costituissero anche delle altre Società per contrastare le povertà di natura culturale. Questo il nocciolo dell’ispirazione di Mario Fani. Luoghi di incontro per meditare, per condividere il servizio, per crescere nel dono di sé a Dio e agli altri. “Preghiera, azione, sacrificio”: questo il motto che colorirà l’esperienza di Gioventù Cattolica Il periodo storico in cui visse Mario Fani tra il 1845 ed il 1869  era pieno di incognite e di nuovi fermenti. Anticlericalismo e massoneria erano diffusi in tutta Europa, in Italia lo spirito del Risorgimento mise in crisi non solo la certezza storica dello Stato della Chiesa ma anche la coscienza religiosa di molti cattolici divisi tra Patria e Fede. Mario Fani reagì cercando l’essenziale della propria fede e forme concrete per alimentarla, per condividerla, per testimoniarla e per questo, aggregò sulle sue idee altri giovani. Nel gennaio del 1867 i garibaldini conquistano Viterbo e Mario Fani, per difenderla, si unì agli Zuavi pontifici. Un mese dopo il padre decise di mandarlo a Bologna, da una zia, per finire gli studi e qui Mario Fani stringe rapporti con Giovanni Acquaderni ed un gruppo di amici. Un mese dopo Mario Fani si recò a Bologna da una zia e in questa occasione stringe amicizia con Giovanni Acquaderni e il suo gruppo. Insieme a loro, tra il febbraio e il giugno 1867, elaborò la carta fondante della Società della Gioventù Cattolica; il 18 settembre di quello stesso anno la proposta poteva diffondersi su scala nazionale e dar vita ad un organismo di collegamento che nel volgere di un paio d’anni poté rappresentare i circoli diffusi in varie città della Lombardia, dell’Emilia, della Toscana, della Liguria. Fu proprio Mario Fani a insistere perché la Società si concepisse “italiana”, e con una sua accalorata lettera raccomandò che questo aggettivo comparisse nella denominazione ufficiale.  Insieme tra il febbraio ed il giugno 1867 elaborano la carta fondante della Società della Gioventù Cattolica, a tale scopo dichiarò : “Alla carità dei poveri pensano le conferenze del gran santo De’ Paoli; noi dobbiamo pensare alla carità verso i giovani, che dalle audacie della rivoluzione si trovano impediti perfino di mostrarsi cristiani: oppure vengono illusi da essa, addormentati, e poi tratti a perdizione da quell’empia setta della massoneria. Con l’aiuto della Madonna Santa; tentiamo di mettere insieme una società della Gioventù Cattolica d’Italia“.Il 18 settembre di quello stesso anno la proposta si diffonde su scala nazionale e dà vita ad un organismo di collegamento, il Consiglio Superiore, con sede a Bologna; Mario Fani insistette affinchè la società fosse concepita “Italiana”. Dopo un anno si formarono 12 circoli; nel 1874 se ne contavano 72 sparsi in tutta Italia. L’idea che i cattolici si impegnassero non solo nelle opere di misericordia materiale, ma anche in quelle spirituali per contrastare le povertà di natura culturale viene chiarita nel programma e nello statuto della Società della Gioventù Cattolica, e si compendia nel motto Preghiera, Azione e Sacrificio, che colorirà l’esperienza della Gioventù Cattolica. La sostanza dell’ispirazione di Fani è: luoghi di incontro per meditare, per condividere il servizio, per crescere nel dono di sé a Dio ed agli altri. In poco tempo sorgono circoli in tutta la Penisola e Mario si prodiga per accrescerli. Egli dà la massima importanza alla stampa ed insiste presso il Consiglio Superiore perché si adotti un giornale come organo della società. Acquaderni gli comunica la scelta del periodico: “L’eco della gioventù.” Altro punto fermo di Fani è l’amore al Papa. Il lavoro diventa sempre maggiore e la salute non troppo stabile. Nel luglio del 1869 si reca con la famiglia a Livorno per ritemprare le forze, ma un atto di estremo altruismo e generosità gli sarà fatale. Un giorno, vedendo un giovane in procinto di annegare, si getta in suo aiuto e lo salva ma la sua salute ne risentì talmente che il 3 agosto dovette ricoverarsi in ospedale ed in poco tempo per complicazioni polmonari morì serenamente il 4 ottobre 1869 a soli 24 anni non ancora compiuti. Gli restò la preghiera e la parola per esprimere il rammarico di “non poter fare tanto, tanto per la Chiesa” ma anche per affidare il testimone a chi gli stava intorno “Bisogna agire!“. Per suo volere è sepolto a Viterbo. La salma il 1 dicembre 1869 venne inizialmente tumulata nella cappella di famiglia nella Chiesa di S. Teresa dei Carmelitani, in piazza Fontana Grande. Alcuni anni dopo quando la Chiesa fu sconsacrata per essere adibita a Corte d’Appello, il feretro venne traslato nella cappella Fani al cimitero cittadino di San Lazzaro. Nel 1952 il centro Diocesano di Viterbo della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) decise di collocare i resti di Fani nella Chiesa di Santa Rosa, dove egli era solito pregare e da dove, dopo una notte di preghiera, uscì con il proposito “bisogna agire” ed ebbe l’ispirazione della Società della Gioventù Cattolica Italiana. La collocazione della salma di Mario Fani è nella navata destra della Basilica, ed  avvenne il 6 settembre 1952 in coincidenza con le celebrazioni del VII centenario della morte di Santa Rosa. Tenne la Commemorazione l’Onorevole Raffaele Jervolino, già Presidente Centrale GIAC. Il giorno seguente ci fu un convegno interregionale della GIAC. I giovani si raccolsero in Piazza del Comune dove parlarono il prof. Luigi Gedda, Presidente Generale dell’ACI ed il prof. Carlo Carretto Presidente Centrale GIAC. Il 2 maggio 1953, nell’ottantacinquesimo anno dell’Associazione, sulla tomba di Fani fu posta una lapide con la sua effige in bronzo e la frase di Pio XII: vi si legge : “Nel lontano 1968 in una notte di preghiera nella Chiesa di Santa Rosa a Viterbo spuntò dal cuore di Mario Fani il primo fra i rami che oggi potrebbero meglio chiamarsi la prima radice del robusto tronco dell’Azione Cattolica unitaria“.Nella Basilica di Santa Rosa ci sono altre lapidi che ricordano il 25°, il 50°,ed il 75°  dell’Azione Cattolica Italiana.Il 7 marzo 2008, in occasione delle celebrazioni nazionali per 140° anniversario dell’Associazione, é stata aggiunta un’altra lapide ricordo. A Roma gli è stata dedicata una via vicino alla Camilluccia, nota per essere stata teatro, il 16 marzo 1978, del sequestro di Aldo Moro e del massacro della sua scorta.

Famiglia Fani

famiglia Fani Viterbo presente anche a Tuscania e altri luoghi nella Tuscia

Famiglia Fani

Famiglia Fani, originaria di Tuscania secoli XVI e XX,  Presente a Tuscania dalla metà del sec. XVI, ebbe tra i suoi esponenti Sebastiano e Paolo Vittorio, che alla metà del secolo fu nominato nel consiglio cittadino. La famiglia acquisì vaste tenute destinate a grano nei pressi di Corneto, e successivamente effettuò diversi investimenti immobiliari, sia a Tuscania che a Viterbo e a Roma. In questa città erano già presenti e affermati nel corso del XVI secolo dato che i Fani erano imparentati con alcune delle più importanti famiglie dell’aristocrazia romana e Mario  aveva acquistato una serie di edifici all’Aracoeli che farà ristrutturare da Giacomo Della Porta e che saranno venduti poi a Bartolomeo Ruspoli nel 1632. A metà Cinquecento Sebastiano e Paolo Vittorio Fani erano stati ascritti all’Ordine del Giglio, aristocratica compagnia che sosteneva i Farnese. A Viterbo i Fani erano parte del patriziato viterbese fin dal 1540 e in quegli anni Sebastiano, in seconde nozze, aveva sposato Diana Loddi di Viterbo. Il figlio Paolo Vittorio, dopo la metà del secolo, aveva acquistato diverse tenute nel territorio tra Tuscania e Montalto ed era divenuto membro del consiglio della Comunità.  Nel 1564 era avvenuta una divisione dei beni tra i fratelli Girolamo, Paolo Vittorio e Mario, questi già attivo sulla piazza di Roma. Dall’inizio del 1600 gli interessi della famiglia si concentrano ancora di più su Viterbo: nel 1606 i Fani hanno l’appalto della panetteria, l’anno prima, nel 1605, avevano ottenuto l’affitto di diverse tenute della Diocesi di Viterbo anche nel territorio di Tuscania, nel 1622 uno dei Fani era tra i Conservatori di Viterbo, così pure nel 1683 e nel 1687. Paolo Vittorio, figlio di Gabriele e di Girolama Spandesi, aveva ottenuto in donazione da Adriana de Antiquis, sua parente, il palazzo Especo y Vera, a via Cavour a Viterbo, che le era stato lasciato dal figlio nel 1638. Un Vincenzo era entrato tra i Domenicani e diventato influente presso la corte di Alessandro VII che lo incarica della revisione dell’Indice di libri proibiti e lo nomina Segretario della Congregazione dell’Indice. Il ramo dei Fani rimasto a Tuscania continuava ad esercitare ruoli importanti nella vita della città anche in relazione al fatto d’essere grandi proprietari terrieri e produttori di grano che serviva sia a Tuscania che a Viterbo che a Roma. A Tuscania troviamo i Fani munifici donatori nei confronti delle locali istituzioni ecclesiastiche e poi gonfalonieri della Comunità nel 1639, nel 1644 e nel 1648. Un Vincenzo, reintegrato nella nobiltà viterbese tra fine Seicento e Settecento, nel 1709 era amministratore dell’Ospedale Grande degli Infermi a Viterbo e conservatore nel governo della Città come il figlio Tommaso che fu ripetutamente magistrato del Comune mentre un altro figlio Vincenzo si dedicò agli studi ecclesiastici divenendo abate e cappellano di un altare di giuspatronato nella chiesa cattedrale di Tuscania.Nel XVIII secolo, al momento della redazione del catasto rustico voluto da Pio VI, il ramo dei Fani di Tuscania era il maggior latifondista laico della città possedendo oltre 1000 rubbia di terreno (contro i 1900 della Comunità e i 1450 della Mensa vescovile). Un secolo più tardi, passati indenni dopo gli sconvolgimenti del periodo francese e le prime riforme agrarie, i Fani a Tuscania erano tra i maggiori latifondisti insieme con i Bruschi-Falgari-Quaglia di Tarquinia, il principe Boncompagni, il marchese Lavaggi e il marchese Ssacchetti. Nel primo Ottocento un Tommaso di Tobia fu gentiluomo di Camera di Carlo Alberto di Sardegna e sposò la principessa Eleonora Spada che divenne in seguito dama di compagnia della regina Maria Cristina. Un figlio di Tommaso, Vincenzo, si laureò in diritto canonico e civile e fu uomo colto e di profonda fede cristiana; sposò Elmira Misciatelli avendone tre figli tra i quali Mario Fani fondatore del Circolo Santa Rosa da Viterbo che dette origine alla Società della Gioventù Cattolica Italiana. Un nipote di Mario fu Vincenzo che fu cavaliere di Malta, Cameriere segreto di Spada e Cappa e aderì all’Associazione Nazionalista Italiana e successivamente al movimento futurista pubblicando diverse opere. La famiglia è ancora presente a Viterbo nel Palazzo di Via Garibaldi. Stemma : Arme: d’azzurro alla fascia accompagnata in capo da un giglio e in punta da un tronco di colonna, il tutto d’argento.

Tratto dalla Scheda di Simona Sperindei – Ibimus; integrazione di Luciano Osbat-Cersa https://www.gentedituscia.it/fani-famiglia/

Giuseppe Garibaldi

giuseppe garibaldi ritratto di francesco paolo palizzi a lui è dedicata una via a viterbo

Giuseppe Garibaldi vita storia

Giuseppe Garibaldi storia, a lui è dedicata una via a Viterbo, nacque a Nizza nel 1807. Il padre avrebbe voluto che il figlio facesse l'avvocato o il medico, ma Giuseppe più degli studi amava il mare e l'azione. A 15 anni scelse la vita da marinaio e s'imbarcò come mozzo su una nave diretta a Odessa. Durante ripetuti viaggi in Levante venne a contatto con un affiliato alla Giovine Italia e con alcuni seguaci di Claude Henri Saint Simon, che fu uno degli ideatori del socialismo moderno. Garibaldi, rimase per sempre legato agli ideali democratici e socialisti. Conobbe Mazzini nel 1833 a Marsiglia, quando questi stava organizzando il moto rivoluzionario in Savoia. Decise di collaborare con lui e cercò di organizzare un moto a Genova. L'iniziativa fallì: fu condannato a morte in contumacia e nel 1835 emigrò in Brasile. In America Garibaldi fece vari mestieri, dal marinaio al commerciante, al sensale. Fu in contatto con la numerosa colonia di emigrati liguri, fra cui molti militanti mazziniani, e con loro consolidò la sua formazione politica. Comprese che la libertà della patria era un valore universale, da difendere sempre. Dal 1837 partecipò alla guerra a fianco della provincia brasiliana ribelle di Rio Grande do Sul Nel 1841 passò a Montevideo dove, dopo un periodo di non fortunata attività commerciale, ritornò all'uso delle armi nella guerra che l'Uruguay combatté contro l'Argentina del dittatore J.M. de Rosas. Nel 1843 creò la Legione italiana, e indossò la camicia rossa. Nel 1847 gli fu affidato il comando generale della difesa di Montevideo. In  America Garibaldi conobbe la prigione e la tortura. Da semplice combattente divenne comandante per mare e per terra, in quanto dotato di carisma. Fu in America che conobbe Anita, al secolo Anna Maria Ribeiro da Silva, che abbandonò il marito per seguirlo. La sposò nel 1842, dopo la morte del marito. Fu un amore smisurato e travolgente; un'unione che solo la morte divise. Anita lo seguì ovunque, anche in battaglia. Condivisero tutto: ideali e passioni, sconfitte e vittorie, prigionia e gloria. Nell'aprile del 1848, quando con una sessantina di seguaci fece ritorno in Italia, Anita lo seguì con i tre figli che nel frattempo avevano avuto. Sbarcato a Nizza, proseguì per Genova e, senza l'accordo di Mazzini, chiese a Carlo Alberto di poter entrare nell'esercito sardo con la sua Legione di volontari, che erano saliti a circa 200. Fu questa la prima manifestazione di una divergenza tra i due, sul rapporto con la monarchia sabauda, che in seguito sarebbe divenuta dissidio mai ricomposto. Mazzini e i maggiori esponenti del movimento democratico, Carlo Cattaneo in testa, non intendevano riconoscere un ruolo egemone a Casa Savoia, perché ciò avrebbe impresso un carattere conservatore al processo unitario, conferendo il potere decisionale ai vertici e lasciando ai margini la base, con il rinvio a tempo indeterminato dell'instaurazione della repubblica. Garibaldi invece, pur di conseguire l'obiettivo primario dell'unità e dell'indipendenza, era disposto a transigere sulla pregiudiziale repubblicana. Da esperto uomo d'armi valutò subito che il movimento democratico, senza l'appoggio di almeno uno degli Stati italiani, non aveva la forza militare per realizzare il proprio programma politico. Carlo Alberto, comunque, rifiutò l'arruolamento della Legione garibaldina e il chiarimento con Mazzini fu per il momento rinviato. Garibaldi fu invece accolto dal governo provvisorio di Milano, che lo pose al comando di un corpo di volontari, male armato e peggio equipaggiato. Nonostante ciò, condusse ugualmente un'energica e brillante campagna militare contro gli austriaci.  Proclamata con Mazzini la Repubblica Romana nel febbraio del 1849, gli fu affidata la difesa di Roma. Sconfisse ripetutamente francesi e borbonici, prima di essere costretto ad arrendersi alla superiore potenza di fuoco dell'armamento francese. Garibaldi lasciò Roma con 4.000 uomini nell'intento di recarsi a Venezia, dove la repubblica di Daniele Manin ancora resisteva. Braccato da tre eserciti, a San Marino fu costretto, al termine di una marcia entrata nella leggenda, a sciogliere la sua colonna. Qualche giorno dopo morì Anita, che, come sempre, lo aveva seguito, nonostante fosse incinta. Riuscì poi a eludere la caccia della polizia austriaca, pontificia e toscana, e a espatriare nuovamente. Dalla prova del 1848-49 il movimento nazionale uscì sconfitto, la fama di Garibaldi valoroso combattente e grande condottiero risultò invece confermata ed enormemente rafforzata. All'estero fu ancora marinaio, operaio, commerciante in giro per il mondo: Africa, America, Cina, Inghilterra. Nel 1852 tornò a Nizza e vi riprese l'attività di cabotaggio, trasporto di merci per mare.Nel 1854 si dissociò apertamente dalla strategia politica di Mazzini, giudicando velleitari e improduttivi i suoi tentativi rivoluzionari. Era ormai orientato a sostenere la monarchia sabauda, purché questa avesse fatta propria la causa italiana. Nel 1857 si ritirò a Caprera, dove aveva acquistato terreni e dove si diede all'agricoltura, alla pastorizia e a un modesto commercio di legname. Ma in quello stesso anno fu costituita a Torino la Società Nazionale col programma 'Italia e Vittorio Emanuele'. Daniele Manin ne fu il presidente, Giuseppe La Farina il segretario; Garibaldi fu nominato vicepresidente. Il distacco da Mazzini era consumato. Idealmente, Garibaldi restava democratico e socialista; politicamente, invece, lasciava cadere la pregiudiziale repubblicana e diveniva fautore di una monarchia costituzionale affidata a Vittorio Emanuele II sulla base di una legittimazione dal basso, sancita dall'apporto del popolo in armi guidato dallo stesso Garibaldi. Tra il 1858 e il 1859 si incontrò con Cavour e con il re. In vista della guerra all'Austria fu costituito il corpo di 3.000 volontari dei Cacciatori delle Alpi, posto ai suoi ordini, quale generale dell'esercito sardo. Non mancarono frizioni con i comandi militari piemontesi e ciò limitò anche la portata dei brillanti successi che comunque i volontari garibaldini conseguirono. Dopo l'armistizio di Villafranca Garibaldi per non restare inattivo si dimise da generale dell'esercito sardo e si recò nell'Italia centrale al servizio dei governi insorti. Il suo obiettivo dichiarato fu Roma, ma lo stesso Vittorio Emanuele per il momento riuscì a dissuaderlo. Tuttavia, una volta annesse al Piemonte la Lombardia, l'Emilia, la Toscana e la Romagna, l'iniziativa moderata segnava, irrimediabilmente, il passo. La Francia, ormai più dell'Austria, chiudeva il varco a qualunque azione contro Roma. L'Inghilterra non aveva interesse a promuovere un ulteriore ingrandimento piemontese. Lo stesso Cavour sembrava non avere più frecce nel suo arco. Vedeva tempi lunghi per la soluzione sia del problema romano sia di quello meridionale. Fu allora che la ripresa di iniziativa da parte di Garibaldi rimise in moto il processo di unificazione, traendolo fuori dalla situazione di stallo in cui era entrato. Giuntagli notizia della rivolta scoppiata a Palermo, si pose a capo della spedizione dei Mille che partì da Quarto (Genova) nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1860. Tappe dell'impresa furono: lo sbarco a Marsala, la battaglia di Calatafimi, la presa di Palermo, la battaglia di Milazzo, il passaggio dello Stretto e la marcia attraverso la Calabria fino all'ingresso a Napoli. Seguì quindi la battaglia del Volturno e l'incontro a Teano con il re, assieme al quale entrò a Napoli il 7 novembre. L'impresa dei Mille, che univa il Mezzogiorno al Piemonte per formare l'anno successivo il Regno d'Italia, resta in assoluto una delle mosse più produttive e geniali dell'intero processo di unificazione, nonché il maggior risultato politico dell'intera vita dell'eroe dei due mondi. A proposito di questa impresa è stato sottolineato che Garibaldi collocava l'invasione del regno borbonico in una visione non troppo realistica dei rapporti internazionali. In effetti egli riteneva che l'impresa meridionale si sarebbe potuta concludere senza troppi problemi con la presa di Roma. Tale errata convinzione lo avrebbe portato più tardi a ritentare la presa di Roma, trovando due cocenti delusioni: in Aspromonte (dove fu fermato e ferito dall'esercito italiano) nel 1862 e a Mentana nel 1867 (quando fu costretto alla ritirata dalle truppe francesi e pontificie). Tuttavia, se questa sua visione avrebbe poi pesato negativamente per Roma, non fu altrettanto per il Regno delle Due Sicilie. Qui meglio degli altri egli intuì quanto poi avvenne, e cioè che nessuna potenza europea riteneva che valesse la pena rischiare un conflitto con chicchessia per salvare il regime borbonico. A Garibaldi, dunque, va non solo la gloria di avere condotto con l'impresa dei Mille la maggiore campagna militare del Risorgimento realizzata da forze esclusivamente italiane, e di avere inanellato, da Calatafimi, a Palermo, a Milazzo, a Messina, al Volturno, una serie di vittorie strepitose contro forze militari numericamente sempre superiori alle sue; ma a lui va anche ascritto il merito tutto politico di avere portato l'attacco al regno borbonico, quando i moderati e lo stesso Cavour non lo ritenevano ancora possibile. Fu lui a restituire al popolo italiano, con l'azione concreta e non solo con le parole, la dignità e l'immagine, trascurate da secoli, di un popolo che sapeva battersi con le armi per la propria libertà e per la propria indipendenza. Quel che avvenne dopo il 1860 aggiunse ancora qualcosa ai suoi meriti militari. La campagna condotta in Trentino durante la guerra del 1866, pur non ripetendo le gesta del 1860, fu l'unica vittoriosa da parte italiana, anche se i territori occupati dovettero essere restituiti all'Austria in forza del trattato di pace. La sua opera di sostegno ai movimenti nazionali polacchi, ungheresi, romeni e slavi nei primi anni Sessanta e l'aiuto offerto alla Francia nel 1870-71 con la difesa di Digione furono prove ulteriori della sua grande generosità e del valore universale che egli attribuiva al concetto di patria. Nel 1882, quando morì, il peso e il significato storico della sua figura restavano strettamente legati a quanto aveva realizzato prima del 1860. https://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-garibaldi_%28Enciclopedia-dei-ragazzi%29/

Come arrivare a via Garibaldi Viterbo

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Fotografie Via Garibaldi Viterbo centro storico

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Via Garibaldi da piazza Fontana GrandeViterbo - Vie di Viterbo centro

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Palazzo in cui nacque Mario Fani via Garibaldi 7 Viterbo

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Palazzo in cui nacque Mario Fani via Garibaldi 7 Viterbo - Palazzi di Viterbo centro

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Targa a Mario Fani via Garibaldi Viterbo

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Scritta portale via Garibaldi 11 Viterbo

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Scritta portone via Garibaldi 13 Viterbo

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Scritta portone via Garibaldi 9 Viterbo

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Dettaglio scritta portone via Garibaldi 9 Viterbo

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Stemma via Garibaldi 13 Viterbo

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Stemma via Garibaldi Viterbo

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Stemma via Garibaldi 20 Viterbo

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Scritta portone via Garibaldi 10 Viterbo

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Giuseppe Garibaldi

giuseppe garibaldi ritratto di francesco paolo palizzi a lui è dedicata una via a viterbo

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Piazza Fontana Grande - Mappe di Viterbo

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