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La famiglia Especo y Vera, Viterbo, aveva origini spagnole venivano da Cordoba. Trasferitasi nel Regno di Napoli nel corso del XVII Secolo, annoverò tra i suoi membri molti militari: il trisavolo Bartolomeo Generale di fanteria, il bisnonno Luigi  (1689-1745), un ramo della famiglia nel XVIII secolo si trasferì dal Regno di Napoli a Viterbo, con tutta la famiglia nel 1745, qui, a Viterbo ebbe  in enfiteusi il palazzo all’angolo delle attuali Via Annio con Via Cavour, già proprietà Cherofini. Un’altra abitazione della famiglia era a Prato Giardino dove un Bartolomeo vi si stabilì e dove fece battezzare la figlia Caterina nel 1813. Qui avrà sede l’Accademia Filodrammatica fino a quando non si potrà riunire presso il Teatro Genio. Bartolomeo era stato maresciallo di campo nel Regno di Napoli nel 1697, governatore di Orbetello nel 1698, governatore dello Stato dei presidi nel 1711. Nel 1724 Bartolomeo presenzia il 6 settembre di quell’anno al battesimo di Giovan Battista Casti di Acquapendente . Suo figlio Luigi avrà stabile dimora a Viterbo e sposerà la marchesa Teresa Marescotti di Siena. Una sua figlia, Barbara, sarà monaca corale nel monastero di Santa Rosa. Dei suoi fratelli Paolo sarà più volte ufficiale della Confraternita del Gonfalone nella seconda metà del XVIII secolo, poi Conservatore del Comune, poi nella Repubblica Romana sarà tra i maggiori magistrati viterbesi e Ispettore di polizia e successivamente nuovamente Conservatore. Negli stessi anni era stato Governatore dell’Ospedale Grande di Viterbo. Aveva fatto parte della milizia pontificia ed era divenuto esperto nell’arte militare al punto da pubblicare un trattato sul maneggio delle armi. Dopo il 1801 era andato in esilio a Firenze ma era rientrato nel 1803. Con il governo napoleonico aveva ottenuto nuovi riconoscimenti e per alcuni anni è il Maire di Viterbo. Alla morte (22 gen. 1829) fu sepolto nella chiesa di S. Giacomo, chiesa alla quale la sua famiglia sarà molto legata. Un suo figlio, Giacinto, fu Arcidiacono della cattedrale di Viterbo e Vicario generale della Diocesi e in cattedrale è sepolto nella cappella di S. Lucia; Alessandro, altro dei suoi figli, insieme a Giulio Zelli-Pazzaglia, avvierà lo scavo nella zona delle Aquae Passeris riportando alla luce diverse statue. Sarà Gofaloniere negli anni 1846-1857 e poi Consigliere provinciale.  Bartolomeo invece sposerà Teresa Fani e in seconde nozze Cecilia Nannini di Siena. Sua figlia Teresa sposerà il marchese Francesco Patrizi di Città di Castello. Giulio infine farà la carriera militare diventando comandante della fortezza di Civitavecchia dal 1835 al 1848 e poi di quella di Ancona. Dopo la presa di Roma nel 1870 diventerà valdese e morirà nel 1883 nella nuova fede religiosa. Nella storia di questa famiglia, il nonno Paolo (1735-1806) ed il prozio Ignazio (1738-1829) ebbero un ruolo politico importante a Viterbo perché, sulla scia della Rivoluzione francese, aderirono alla Repubblica romana: il 4 marzo 1798, Paolo Especo, magistrato della città, proclamò la sovranità del popolo e dichiarò decaduto il passato governo papalino. Alla restaurazione (1799) fu naturalmente arrestato e suo fratello Ignazio, già Ufficiale dell'Esercito pontificio, fu allontanato dagli uffici pubblici. Nel 1810, con il nuovo Governo napoleonico, Ignazio fu nominato Maire di Viterbo, carica che tenne fino al 1813. Luigi Especo, figlio di Paolo, intanto, si era stabilito a Roma, e lì, da donna Teresa Atrichelli, ebbe quattro figlie femmine ed un unico maschio: Giulio, nato il 27 aprile 1801 nel rione Regola e battezzato in San Pietro il giorno dopo. Sulla spinta del prozio Ignazio, Giulio Especo iniziò la sua carriera militare da giovanissimo perché entrò il 1º agosto 1816, a quindici anni, come cadetto, nel Primo Battaglione dell'Artiglieria pontificia. L'anno dopo (1817) diventò effettivo come sottotenente. La vita militare lo portò in molte situazioni delicate in cui si destreggiò con una certa abilità, avanzando di grado rapidamente ed ottenendo incarichi importanti che svolse con efficacia: raggiunse a 34 anni il grado di Capitano ed il comando della Piazza di Civitavecchia e, a 47 anni, il grado di Maggiore ed il comando della Piazza di Ancona. Aderì, con tutta la città di Ancona, alla Repubblica romana del 1849 e fu uno dei protagonisti della resistenza contro l'Esercito austriaco che occupò, per la seconda volta, il territorio pontificio dal 1849 al 1859, poi abbandonato a causa delle sconfitte subite nella Seconda guerra di indipendenza italiana. Alla restaurazione dello Stato pontificio del 1849 Especo fu prima degradato e poi destituito e processato ma, grazie alla sua grande popolarità nelle forze armate ed al rispetto che si era guadagnato anche da parte degli Austriaci e forse anche per il rispetto del suo titolo nobiliare (era Marchese), qualche mese dopo (marzo 1850) fu assolto e reintegrato nel grado e nel comando. È possibile che abbia influito anche lo zio Giacinto Especo (1781-1852), Arciprete della Cattedrale di Viterbo. Qualche anno dopo, comunque, in occasione della riforma radicale della struttura amministrativa e di governo del Ministero delle Armi e dell'Esercito pontificio (Gennaio 1859)[7], fu mandato in pensione definitivamente. Dopo il 1860 viaggiò a lungo per l'Italia, ma tornò spesso a Roma, dove continuò a vivere con la sua famiglia. La figlia Maria Cleofe, che si era sposata il 19 maggio del 1856 con l'allora Tenente Francesco Oberholtzer, morì trentaduenne, nel 1864, per complicazioni intervenute al momento del parto del suo quartogenito Paolo Emilio.Il suo travaglio di credente, che non riuscì ad accettare dogmi e soprusi di un governo ostile a qualsiasi cambiamento, lo spinse ad ascoltare con attenzione e ad accettare la predicazione dei Pastori protestanti, che entrano in Roma con i Bersaglieri nel settembre 1870. Nel Natale del 1871 Giulio Especo fu ammesso, insieme ad altre 13 persone, alla cena della Chiesa Evangelica Valdese a Roma e, della comunità valdese, diventò rapidamente un pilastro: eletto Diacono e Cassiere nel 1873, poi membro del Comitato (nazionale) di Evangelizzazione dal 1875 al 1879, contribuì fortemente a trovare per la Comunità una sede stabile in Roma ed a portare a termine le trattative per l'acquisto del terreno e poi per la costruzione del primo Tempio Valdese in Roma, di cui vide l'inaugurazione nel 1883, poche settimane prima di morire. Anche la moglie Geltrude Confaloni entrò, insieme a lui, nella Comunità evangelica valdese e per questo, alla sua morte (4 dicembre 1874) fu sepolta nel Cimitero acattolico di Roma. La professione di fede di Giulio Especo fu fortemente osteggiata e criticata dalla famiglia (in particolare dalle quattro sorelle e dalle cinque cugine) al punto che, nel marzo del 1883, al peggioramento del suo stato di salute, egli si trovò costretto a difendere il suo (prevedibilmente non lontano) trapasso con un atto notarile in cui dichiarava la sua incrollabile fede evangelica e la sua assoluta determinazione a voler essere assistito, in caso di malattia invalidante, soltanto da personale della sua Chiesa, autorizzando l'intervento della Forza pubblica per allontanare dal letto di morte eventuali preti cattolici. In effetti il tentativo di "redimerlo" in extremis sul letto di morte ci fu, ma fu inutile.
Bibliografia: tratto da sito web  Wikipedia e dal sito web Gente di Tuscia

Famiglia Spadensi, Viterbo, La presenza di questa famiglia a Viterbo risale al 1605, quando la famiglia venne iscritta nell’albo del patriziato viterbese, ma è già dal 1572, che si data la presenza di questa famiglia a Viterbo, quando Giulio, figlio di Nicola Spadari di Arezzo residente a Viterbo nominò come suo procuratore il padre per procedere alla divisione dei beni di Arezzo con i suoi fratelli. Nello stesso anno Leonardo, setaiolo, cioè mercante in seteria, che già possedeva una bottega a piazza Santo Stefano, contrasse matrimonio con la nobile viterbese Adriana De Antiquis. Nel 1577 Leonardo, pese in affitto da Giacomo Sacchi il podere Merlano sulla strada per San Martino al Cimino. Nel 1586 il priore di Santa Maria della Quercia gli concesse l’autorizzazione ad adornare di stucchi e pitture la cappella sotto il titolo dell’Annunziata. La cappella sarà poi arricchita nel 1588 da una tela ad olio raffigurante l’Annunciazione della Vergine, nella cui parte inferiore, a destra, si legge lo stemma del committente: oggi è nel convento romano di Santa Sabina.Da Leonardo e Adriana nacquero Girolama, Diamante e Donato. Nel 1609 Leonardo fu tra i quattro Conservatori del Popolo di Viterbo e poi lo fu di nuovo nel 1619. Nel 1627 prese in affitto la tenuta di San Savino nei pressi di Tuscania. Leonardo Apparteneva all’Ordine dei Cavalieri del Giglio e questo gli dette l’autorità di nominare notai e giudici: cosa che fece nel 1628 e nel 1638. Nel 1633 fu deputato e ministro del Monastero delle Povere fanciulle orfane della città di Viterbo. Donato morì il 21 settembre 1638 e nel suo testamento lasciava diversi legati alla chiesa di San Salvatore, poi per la costruzione di una cappella a Santa Maria Nuova, poi per la celebrazione di messe in suffragio e di preghiere, ma anche numerosi altri per molte chiese e luoghi pii di Viterbo. Dopo la sua morte la madre Adriana rimase unica erede e quindi con atto del 15 gennaio 1641 trasferì il resto del patrimonio al nipote Paolo Vittorio nato dal matrimonio di sua figlia Girolama con Gabriele Fani. Paolo Vittorio Fani, entrato in possesso dei beni ereditati dagli Spadensi, associò per qualche tempo gli stemmi e i nomi delle due casate. Suo nipote Sebastiano Gregorio Fani tra il 1691 e il 1693 fece realizzare una nuova cappella in Santa Maria Nuova secondo le volontà del fu cavaliere Donato Spadensi, cappella che fu arredata con un quadro di Bonaventura Lamberti di Carpi: nelle ristrutturazioni del XX secolo il quadro e lo stemma marmoreo della famiglia sono stati rimossi e il quadro ora si trova nella sede della ex Cassa di risparmio di Viterbo. La loro abitazione era situata a San Giacomo alla Strada Nova passata poi ai Fani e da questi ai Cherofini. E un edificio di loro proprietà era collocato all’incrocio della Via Nova con l’attuale Via Annio. E la scritta CANTO ALLA CROCE che è incisa nel fascione di peperino che lambisce le basi delle finestre del primo piano è databile al 1578 come si ricava dai documenti coevi. Il palazzo si inseriva nel nuovo assetto urbanistico che il cardinale Alessandro Farnese volle dare al centro di Viterbo per collegare Fontana Grande con la Piazza del Comune. Bibliografia: tratto dal sito web Gente di Tuscia.

Palazzo Spadensi Especo Y Vera, Viterbo, tra via Cavour e via Annio, venne edificato dopo l’apertura della via Farnesiana, oggi, Cavour, via che fu voluta da Cardinale Alessandro Farnese, Legato Perpetuo del patrimonio di Viterbo. Nel 1578 Leonardo Spadensi o forse Spatari, ottenne gratuitamente dal Comune due terreni di scarso valore, confinanti con la sua abitazione sulla via Nuova, con l’obbligo di costruire un edificio con una bella cantonata. Il palazzo che affaccia sia su via Cavour che su via Annio, ebbe come progettista l’architetto Giovanni Malanca di Roma. Morto Leonardo Spadensi, l’edificio venne ereditato dal figlio Donato, che fu Cavaliere dell’Ordine del Giglio e di Santo Stefano, molto legato alla Curia viterbese, tanto che si adoperò attivamente alla costruzione del Collegio dei Padri Gesuiti di Viterbo. Il palazzo Spadensi, più noto come Especo Y Vera, è inglobato con altre strutture  e si sviluppa su 3 piani a pianta irregolare. Su via Annio e via Cavour ha un fascione marcapiano in peperino, tra il piano terra ed il piano nobile al primo piano c’è una epigrafe posta nell’angolo  che reca la scritta : Canto della Croce. Forse la posizione del palazzo posto al centro di un crocevia, oppure a ricordo della scomparsa chiesa di San Martino, che venne demolita per aprire la via Nuova. Un’altra fascia marcapiano è tra il piano nobile e l’ultimo piano. L’entrata su via Cavour ha un bel portale con un arco bugnato.non originale, mentre è dell’epoca l’angolo bugnato sotto l’epigrafe.  Il lato del palazzo su via Annio è di fronte al palazzo Brugiotti.  Al pian terreno vi è un portone originale ad arco bugnato, forse era l’antico ingresso principale del palazzo.  Sulla sinistra vi è una piccola apertura con una scala a chiocciola, forse una scala di servizio per accedere al loggiato. La loggia del palazzo Spadensi è formata da 3 arcate e divisa da quattro colonne.  L’intero palazo ha un impianto architettonico riferibile allo stile rinascimentale del Cinquecento.  All’interno del piano nobile, di proprietà privata e non visitabile, vi sono tre ambienti affrescati, il primo è un ampio salone  di rappresentanza che si affaccia sulla loggia, il soffitto è a cassettoni, con una fascia di circa un metro decorata da affreschi con scene di caccia  e pesca opera di  Antonio Tempesta. Dal salone si accede ad un’altra stanza  anche questa affrescata con scene di caccia e pesca  ma che a causa di infiltrazioni di acqua versa in pessime condizioni.  Questi affreschi vennero commissionati da Donato Spadensi, che appose la sua firma e il suo stemma,  tra le finte finestre e le scene di caccia. Quando la linea dei Spadensi si estinse il palazzo passò ai  Fani e poi nel 1708 ai Cherofini di Soriano, linea che si estinse nel 1798. Quindi l’edificio venne acquistato dal colonnello Ignazio Especo Y Vera, originario di Cordova, Spagna che si stabilì a Viterbo alla fine del XVIII secolo.

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