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Largo Vittoria Colonna, Viterbo centro storico, si accede a questa piazza da via Palazzaccio, da via delle Maestre e da piazza Dante. E' in questa zona di Viterbo che è situata nei pressi di via Mazzini e di piazza Dante, che un tempo c'era la Ex Chiesa dei Santissimi Simone e Giuda,con annesso un monastero e un ospedale, ospedale per la lunga degenza che rimase attivo fino al 1995. Attualmente il Largo Vittoria Colonna ed i dintorni appaiono in uno stato di abbandono totale, Il complesso ha anche un bel chiostro, ma non è visitabile ed è invaso dalle piante, il tutto dipende dai beni Archeologici e Culturali, ma niente si è fatto o si farà al momento per restaurarlo.(anno 2022) vedi: Chiesa dei Santissimi Simone e Giuda.

Ex Chiesa SS Simone e Giuda

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Ex Chiesa dei Santissimi
Simone e Giuda
.

Convento, Chiostro, Ospedale e chiesa degli Armeni di Santi Simeone e Giuda, largo Vittoria Colonna, Viterbo, (non visitabili), questo monastero a Largo Vittoria Colonna è poco noto,  anche agli stessi viterbesi, un ingresso è su via Raniero Capocci 13, l’altro al Largo Vittoria Colonna. Purtroppo l’antico convento e la chiesa sono abbandonati al degrado, che di certo dura da decenni. Sull’architrave della chiesa si vedono ancora delle scritte in armeno. su una parete del monastero. Andrea Scriattoli (1915 - 1920) : “Vittoria Colonna / fra poeti italici del suo secolo la prima / per ingegno dottrina beneficenza / dovunque chiarissima / soave modesta / che / perduto il consorte / Ferdinando Francesco d’Avalos marchese di Pescara / qui tenne lunga dimora / dall’anno 1512 al 1544 / cultrice esemplare nel vedovaggio / come in giovinezza / della Cattolica religione / per la tristezza dei tempi / agitata e commossa / le suore del monastero / perché la memoria di tanta virtù / ai futuri durasse / P. Q. M. / l’anno 1850 dalla morte di lei 303”. Alla sua morte, Vittoria Colonna lasciò al Monastero di santa Caterina, un legato di trecento scudi, che fu consegnato alle monache dal cardinale. Sugli stipiti dell'ingresso si leggono due epigrafi armene, a testimonianza della gestione del complesso, chiesa e ospedale, da parte degli Armeni stessi fino al 1430-1434. In quella di sinistra si legge: "Io Toros, peccatore, in espiazione dei miei peccati costruii questa porta l'anno 1356"; in quella di destra compare l'alfabeto della lingua armena, in lettere maiuscole su sette linee. Le scritte si stanno deteriorando sempre di più e prima che si sfaldino sarebbe necessario un restauro, o meglio toglierle mettendole in un Museo e sostituirle con una copia. Qui, dal 1915, circa, furono allontanate definitivamente le suore,  Il Monastero dei Santi Simone e Giuda, fu adibito ad accogliere l’Ospizio dei Vecchi di san Simone, che era a Pianoscarano, e rimase attivo fino al 1995.  Nel 1242 l’Imperatore Federico II (1194-1250) assediò Viterbo che, circondata da ogni parte, fu costretta ad arrendersi. Questo tiranno poi per sua abitazione fece erigere un sontuoso palazzo vicino al monastero di Santa Rosa e alla porta detta della “Verità” Detto palazzo abbandonato, con l’andar del tempo andò in completa rovina onde il Cardinale Rainiero Capocci viterbese e Vescovo di Viterbo ne ordinò la completa demolizione  Il suolo fu dato ai Monaci Rumeni di S. Basilio perché vi costruissero un ospedale e una chiesa per i pellegrini della loro nazione. Tale chiesa e tale ospedale presero il nome dei Santi Simone e Giuda. Questo complesso però fu abbandonato dopo appena 10 anni. Era stato lasciato per le continue guerriglie cittadine e per i continui disturbi che turbavano la quiete degli abitanti. Dopo i monaci basiliani, il 1° marzo 1445 vennero i Frati detti Gesuati, fondati dal Beato Giovanni Colombini (1304-1367): costoro oltre ad attendere alla loro santificazione, pensavano anche alla cura dei malati negli ospedali; ma anche questi, dopo 22 anni circa, passarono nel santuario della Madonna della Quercia, perché il Priore del Comune aveva creduto più conveniente affidare a questi l’ufficiatura del miracoloso santuario. Dopo i Gesuiti venne il Terz’Ordine Francescano. In quel periodo  a Viterbo, si diffuse la predicazione  del grande francescano San Bernardino da Siena (1384-1444), nella quaresima del 1426, portò copiosi frutti: molte donne per riparare il “lusso muliebre, piaga sociale, causa di tanti disordini e rovine delle famiglie” abbracciroano la regola del Terz’Ordine Francescano o della Penitenza, come mezzo efficace per riparare ai loro peccati. Trascorrevano vita in comune ma senza voti, almeno per allora, sotto la direzione di una di loro che veniva chiamata Ministro; nacque così nel 1428 la prima congregazione di Terziarie. All’inizio si trovavano a far vita comune in una casa della contrada San Tommaso, sotto il titolo di Sant’ Agnese, un’altra simile congregazione dimorava nel palazzo degli Anfanelli ed era composta di  6 elementi che avevano come ministra una certa Caledonia, donna di specchiate virtù e una tale Angela da Vetralla  come Priora. Queste, vedendo l’abbandono totale del monastero e della chiesa dei santi Simone e Giuda, si rivolsero al Papa Sisto IV, anch’esso francescano, perché desse loro tali locali. La richiesta fu accolta il 26 aprile 1479. Per la loro capacità, la loro industria e le elemosine che affluivano, chiesa e monastero rifiorirono sotto tutti gli aspetti, non escluso quello economico. Venuta però a morte Suor Angela da Vetralla, forse pure per interni dissensi e forse ancora per difetto di viveri, inaspettatamente si sciolse tale congregazione e quindi fu abbandonato tutto: ciò avvenne alla fine di marzo o ai primi di aprile del 1487. Dopo la partenza di queste terziarie, avvenne un episodio: parte delle suore del vicino monastero di Santa Rosa penetrarono furtivamente nel recinto dei locali per impossessarsene, ma il loro poco edificante esempio fallì. Dopo la partenza della prima congregazione terziaria, ne vennero altre, sempre terziarie, sotto la guida dei Frati Minori Osservanti di Santa Maria del Paradiso; venivano chiamate Pinzochere o Beghine francescane o di S. Bernardino: vivevano riunite in una casa vicino alla chiesa di San Sisto. Col tempo poi queste suore furono consigliate a passare tra le Clarisse e di professare la loro regola. Questo avvenne sotto il pontificato di Alessandro VI (1492-1503) che diede facoltà al Priore della chiesa dei Santi Faustino e Iovita di portarsi a San Simone e Giuda; e, a tenore delle disposizioni del suo predecessore Innocenzo VIII (1484-1492), ammettesse tutte quelle suore alla professione della regola delle clarisse perché venissero bene ammaestrate nello spirito della nuova regola abbracciata. Furono messe sotto la guida di sei religiose alla vita del monastero di San  Damiano di Roma, fra le quali primeggiava una tale Suor Antonia da Siena. Queste sante riformatrici o formatrici furono accompagnate in Viterbo dal Rev.mo Vicario Generale dei Frati Minori, Padre Angelo da Chivasso (1411-1495); giunsero a Viterbo il 9 Maggio 1493 ed erano ad attenderle il Magistrato e il popolo. Suor Antonia ricevette le chiavi della clausura e fu la prima ad essere investita del titolo di Badessa. Ministro generale dell’Ordine era Padre Francesco Nanni e Ministro Provinciale della Provincia Romana Padre Angelo Cinti da Valmontone.  Queste suore furono talmente esemplari nella loro condotta che molte giovani chiedevano di abbracciare la vita claustrale di Santa Chiara; vissero sempre nella piena osservanza della regola professata tanto che nel 1508 alcune di loro furono mandate ad Orvieto per fondare il monastero di Santa Chiara. Pio V poi, volendo riformare il monastero di San Silvestro in Capite di Roma, il 22 febbraio 1570 ordinò al Padre Guardiano del convento del Paradiso, sempre di Viterbo, di accompagnare a Roma quante monache dei Santi Simone e Giuda volessero andare per lo scopo indicato. Il 10 marzo di detto anno, ne scelse 9 e collocatele “dentro un cesto” sopra i muli, le portò a Roma: una di quelle, suor Veronica, fu eletta badessa una certa suor Chiara, Vicaria. Altre suore probabilmente dei Santi Simone e Giuda andarono a Vetralla col proposito di aprire anche lì un altro monastero di Clarisse, ma non ci riuscirono;  probabilmente, perché essendo badessa una certa Angelica Brusciotti di Vetralla nel 1514, costei, con i dovuti permessi, pare abbia mandato in Vetralla diverse monache per arricchire la città natale di un monastero di clarisse. Negli anni successivi la vita claustrale dei Santi Simone e Giuda dovette svolgersi tutta regolare. Nel 1527 la città di Viterbo venne occupata dalle truppe ispano-tedesche: il monastero fu saccheggiato e derubato ma le suore non furono soppresse. Nel 1712 una suora, certa Felice Tiberia Marazzi, col permesso dovuto, si trasferì nel monastero di San Bernardino, a piazza della Morte,  sempre di Viterbo e qui visse e morì in santità il 24 marzo 1720. Quando fu proclamata la Repubblica Romana il 15-2-1798; si temette ancora una soppressione che non avvenne per allora ma quando il 1 settembre 1810  Napoleone, proclamato imperatore dei Francesi, e sceso in Italia, le  suore furono costrette ad abbandonare il monastero e lasciare l’abito: il loro confessore Padre Serafino da Caprarola, per non aver voluto prestare giuramento a Napoleone, fu confinato in Corsica. Dopo la caduta di Napoleone il 12 febbraio 1815 le suore disperse ritornarono nel loro monastero.. Dopo tale ritorno, furono accolte altre suore di altri monasteri: una del monastero del Divino Amore di Montefiascone, una del monastero di Santa Croce di Magliano Sabino e del monastero di Santa Chiara di Orvieto. Altro pericolo grave avvenne nel 1848 durante la repubblica mazziniana: “in quei giorni della repubblica fu invaso il monastero dai rivoluzionari e le suore ebbero molto a soffrire: era giunta la minaccia di soppressione ma anche allora non successe nulla di irreparabile. Ci si mise pure il Cardinale Giovanni Bedini, vescovo di Viterbo che nel 1862 fece di tutto per espellere le suore perché voleva fare del monastero un orfanotrofio, ma non ci riuscì perché i confratelli del convento di  Santa Maria del Paradiso si opposero con tutti i mezzi perché non riuscisse tale piano; neanche furono mandati via dai garibaldini nel 1867 anzi li trovarono difensori. Conquistata tutta l’Italia e Roma dagli unitari nel 1870, furono allora applicate, anche a queste nuove conquiste, le leggi di soppressione del 1860: il 1° novembre 1873 fu firmato il decreto d’incameramento del monastero mentre potevano restarvi solo 6 religiose con vitalizio. Nel 1876 il Padre Generale dell’Ordine Bernardino dal Vagno mandò in Dalmazia una delle suore di San Simone e Giuda come maestra delle novizie. Morta questa in  santità, ne fu chiesta un’altra ma non fu possibile accontentare la richiesta. Si arrivò così al 1881 quando alcuni maligni comunicarono al governo che altre suore erano state ricevute e accolte nel monastero. Subito il 5 gennaio fu ordinato il trasferimento delle suore con quelle di San Bernardino. I confratelli di Santa Maria del Paradiso fecero molto perché non venisse eseguito tale passo. A ciò si aggiunge anche un particolare: essendo state espulse dal Cairo le monache egiziane, il Governo fu costretto a farle alloggiare in numero di 25 in questo monastero che stava per essere chiuso, altre 4 furono accolte nel monastero di Santa Rosa e 4 in quello di Santa Caterina.  Tutto quindi fu rimandato.  Comunque tra minacce, incertezze e avverse volontà degli uomini si arrivò al 18 dicembre 1908 quando il Municipio fece sapere che voleva la chiusura del monastero. Il 6 febbraio 1909 tutte le suore, riunite in capitolo, decisero all’unanimità di non riunirsi in alcun monastero ma di trovare altro locale adatto per vivere in pace e ricevere vocazioni. Fu trovato questo locale: un ex convento di Vitorchiano. Prima di abbandonare il loro monastero, per evitare la forte spesa per il trasporto di oggetti d’uso della nuova casa, se ne disfecero tra questi il coro, le campane, il vecchio e inservibile organo, i cinque altari di legno, l’acquasantiera, vari altri immobili, l’altare dell’infermeria ecc.  Il 24 luglio 1909 fu fatto un atto di riparazione con una preghiera:   fu recitato il Miserere, fu data la Benedizione col Santissimo e fu chiusa la chiesa.  Il 31 (sabato) al mattino si fece una santa messa per le religiose defunte del monastero; e a sera inoltrata, le monache accompagnate da vari cittadini e da religiosi del Convento del Paradiso di Viterbo, partirono per la nuova casa.

BIBL. Di Galeotti : devo all’amico Bruno Blasi di Tarquinia la stesura di questo articolo sul monastero in parola. Egli mi ha fatto conoscere un manoscritto esistente nell’archivio storico della Società Tarquiniense d’Arte e Storia, dal titolo cronaca del  Monastero dei Santissimi Simone e Giuda in Viterbo e trasferimento del Monastero in Vitorchiano. Questi appunti di cronaca furono raccolti dal P. Giustino Fedeli dei Minori di Montecelio, già confessore del monastero, e consegnatone copia al Monastero di Vitorchiano. Nel rimettere tale manoscritto alle suore di Vitorchiano, l’autore dice che vi ha aggiunte diverse annotazioni per dare un’idea delle religioni dei frati che l’hanno abitato

BIBL. Wikipedia e  Dal libro Mauro Galeotti: "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002 e Bruno Blasi, Tusciaup.com

Ex Ospedale SS Simone e Giuda

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Ex Chiesa Monastero Ospedale
Largo Vittoria Colonna Viterbo

Ospedale dei Santi Simone e Giuda a Largo Vittoria Colonna, Viterbo, ormai in stato di abbandono,fu edificato intorno  al 1300 quando Pietro Capocci  Vescovo di Viterbo concesse a certi monaci Armeni dell’ordine di San Basilio, di poter costruire una Chiesa e un ospedale nella Piazza del Palazzo dell’ Imperatore, posta presso le mura della città, nell’area oggi compresa tra il Monastero di Santa Rosa e il monastero di Santa Caterina . La Chiesa e l’ospedale furono chiamati con il nome di San Simone e Giuda, l’ospedale però veniva anche chiamato degli Armeni, non perché questo accoglieva solamente i pellegrini di questa nazione ma per i monaci che lo governavano. Il Priorato e l’ Ospizio degli Armeni cadde in abbandono verso il 1434.Solo nel 1444 un tale di nome Battista originario di Fermo, e membro della congregazione dei Gesuiti, chiese ad Eugenio quarto di concedergli  San Simone a lui e alla sua Congregazione, assicurando al Pontefice che avrebbero riassestato la Chiesa e il Monastero, il Papa accolse tale richiesta con una Bolla del 16/dicembre/1444 e incaricò come Rettore Monsignor Morrerio.  I Gesuiti governarono per ventitre anni, fino a quando furono chiamati dal Comune per governare la Chiesa di Santa Maria della Quercia. Così il San Simone ricadde nuovamente in abbandono. Ma a quel tempo a Viterbo c’era una povera congregazione di suore del terzo ordine di San Francesco, chiamate della penitenza, queste non erano suore di clausura, ma  desiderose di approdare nel San Simeone chiesero al pontefice Sisto IV il permesso e questo lo concesse. Così il 26 aprile 1479 le suore andarono nella nuova dimora e furono accolte con una grande cerimonia da un Commissario Papale. Con la presenza di queste religiose l’istituto iniziò man mano a  perdere il suo squallore e iniziò ad assumere un aspetto rigoglioso. Dopo cinque anni, quando avvenne la morte di Suora Caledonia (che era la superiora), il San Simone era riuscito ad accumulare una buona fortuna in denaro; ma dopo  tre anni dalla morte della Suora il San Simeone tornò di nuovo in abbandono. Le Suore  di Santa Rosa avendo visto  di mal occhio il lussureggiare del San Simeone e avendo paura che questo poteva riaccadere di nuovo decisero di occuparlo, ma questo “assalto” non fu ben accolto dal Comune che le fece ricondurre dentro il loro monastero. In seguito il San Simone con l’autorità del Commissario Papale venne tramutato da allora in poi in un Monastero per Clarisse. Il San Simone cadde sempre più in rovina e dopo alterne vicende divenne convento di clausura per le suore della regola di Santa Chiara e come tale giunse fino alla fine del 1800. Successivamente il convento passò all'amministrazione dell'Ospedale Grande degli Infermi di Viterbo che si trovava tra via San Lorenzo e la omonima piazza, tutt'ora visibile, ma anche questo in stato di abbandono, e divenne la parte in cui venivano ricoverati i malati cronici o di lunga degenza fino agli anni '80 e, fino all'anno 2003, sede del Centro Trasfusionale, dell'Emodialisi e del Servizio di Anatomia Patologica. Il San Simone era un "Ospizio" utilizzato per pazienti anziani e "cronici", in parte la degenza degli "Ospiti" veniva pagata dal Comune di provenienza ed in parte era a pagamento.  (Claudia Marucci). L'Ospedale era così strutturato: a piano terra, nel lato coperto del chiostro erano situati: La Cappella, la casa delle suore che gestivano l'Ospedale, il Reparto San Giovanni con circa 30 posti letto in cui venivano ricoverati pazienti autosufficienti; nel lato centrale invece si trovava la farmacia interna, la cucina, la lavanderia e la sartoria che gestiva tutti i capi di vestiario degli ospiti, compresa la biancheria intima, le divise dei dipendenti e tutta la biancheria di stanza (traverse, lenzuola, copriletto, federe asciugamani etc...) tutta la biancheria veniva cucita all'interno della sartoria di S. Simone. Il servizio si occupava anche del rammendo del corredo individuale degli anziani. Nel lato opposto, a fianco della scalinata che portava al piano superiore, si trovava la cantina ed il deposito di materiale vario utilizzato  (comprese le botti con vino che all'epoca veniva prodotto in proprio dall'Ente) e formaggi, carne, frutta, verdura, olio etcc... prodotti dall'azienda ospedaliera che all'epoca era anche proprietaria di terreni con allevamenti di bestiame e coltivazioni varie. Al primo piano, dove venivano ricoverati nella maggior parte dei casi degenti cronici che avevano problemi di deambulazione, era situato  il Reparto uomini chiamato S. Antonio con circa 60 posti letto; sullo stesso piano si trovavano anche i Reparti femminili: S. Margherita e S. Rita con una capienza totale di circa 100 posti letto. Salendo al secondo piano c'era il Reparto uomini, chiamato S. Domenico, in cui erano ricoverati circa 20 degenti autosufficienti.

Descrizione dell’ex ospedale di San Simeone e Giuda a Viterbo, la descrizione di questo ospedale si deve a :  Claudia Marucci e all'architettp Gilberto De Giustisi , questo ex ospedale , si trova a ridosso delle mura e a vicino al santuario di Santa Rosa, la struttura si trova a largo Vittoria Colonna e vi si accede da via Palazzaccio. Il grande complesso si compone di diversi corpi di fabbrica che si articolano attorno al chiostro di forma quadrangolare, I volumi sono di altezze diverse, raggiungendo i due o i tre livelli di sviluppo, con copertura a tetto a falde. I prospetti visibili dalla strada sono in muratura mista a vista o intonacati, privi di caratterizzazione, a esclusione delle cornici in tufo che ornano le finestre, disposte irregolarmente sulle facciate. L'accesso principale avviene dal largo Vittoria Colonna, dal portale architravato di forma rettangolare chiuso dalla grata in ferro e sormontato dal finestrone di eguale dimensione e forma. All'interno, il chiostro su due piani è caratterizzato dal porticato a pilastri ottagonali collegati dal basamento a sostegno delle volte a crociera, mentre superiormente la superficie muraria è forata da aperture arcuate; il campo centrale è quadripartito presumibilmente un tempo ornato con aiuole di forma mistilinea. Si segnala la cornice che orna il portale d'ingresso all'ospedale, recante l'iscrizione in latino e armeno. Il chiostro interno presenta un ordine di pilastri di forma ottagonale, coronati da un sintetico capitello e con base poggiante sul podio continuo interrotto solo in corrispondenza degli assi; tutto attorno si snoda il portico con volte a crociera. La chiesa contiene resti di decorazioni pittoriche. Il complesso, con numero identificativo 560465, appartiene alla classe “Architettonici di interesse culturale dichiarato” ed è soggetto alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, della provincia di Viterbo e dell’Etruria meridionale. L'edificio è inoltre tutelato ai sensi degli artt. 134 e 136 del D.Lgs. 42/2004. Il complesso rappresenta una significativa testimonianza della storia della città di Viterbo. Esso è infatti legato alle alterne vicende che hanno riguardato la fondazione del convento da parte dei monaci basiliani (Ordine di San Basilio, santo armeno) nel XIV secolo, cui si deve la dedicazione ai santi Simone e Giuda, e, successivamente, il passaggio della struttura all'ordine delle clarisse. Queste ultime, in particolare, furono responsabili del rifiorire della struttura nel XV secolo, grazie all'interessamento del pontefice Sisto IV. Le suore francescane rimasero fino al 1909, con il loro trasferimento nel nuovo monastero di Vitorchiano, per cui il complesso venne  adibito ad ospedale dal 1915 fino al 1995. Con la sua lunga storia, l'edificio ha partecipato attivamente alle vicende politiche della città di Viterbo.  Il convento fu fondato dai monaci Armeni sui resti di una casa nobiliare appartenuta a Federico II e fu da loro detenuto dal 1430-1434 anche per l'accoglienza dei pellegrini malati. Passato poi alle suore dell'ordine di S. Chiara, il monastero è stato attivo fino al 1906. Dal 1915 al 1995 il complesso fu adibito a ospedale. Il complesso è una testimonianza importante delle diverse fasi della storia di Viterbo. In particolare, documenta le alterne vicende legate al susseguirsi dei diversi ordini religiosi, quello dei monaci basiliani, delle clarisse e delle francescane, e dei loro rapporti a volte conflittuali con il vicino santuario di S. Rosa. La sua storia è legata anche ai drammatici eventi della Repubblica Romana e della successiva invasione napoleonica (1799-1815), nonché di quelli del 1848 e dell'Unità d'Italia. Il complesso è in pessimo stato di conservazione, per via dell'incuria, del lungo stato di abbandono e dei saccheggiamenti di cui è frequentemente vittima. Le superfici esterne sono oggetto di un evidente degrado per l'intonaco lacunoso, che lascia alla vista il paramento murario. Questo risente di fenomeni di erosione e di attacco da parte di piante. Inoltre, si segnala la presenza di numerose aggiunte improprie, tra cui cavi di impianti e l'apertura di recenti finestre. Le aperture sono danneggiate nelle loro cornici e nei loro infissi, spesso rotti. All'interno, il chiostro con il pavimento trecentesco è invaso dalla vegetazione infestante. La chiesa è stata preda di numerosi furti ed è stata molto danneggiata.

BIBL:http://vincoliinrete.beniculturali.it/vir/vir/vir.html -
http://www.lacitta.eu/storia/45819-il-monastero-dei-santi-simone-e-giuda-delle-clarisse-di-viterbo.html - https://www.fotogiulianelli.it/viterbo_dal_1900/san_simone/san%20simone.htm

BIBL. Beni Culurali Italianostra.org,   -  Claudia Marucci - arch. Gilberto De Giusti

Santi Simone e Giuda

Santi Simone e Giuda

Santi Simone e Giuda, apostoli del Cristo, a loro a Viterbo, era dedicato un monastero e  un convento in Largo Vittoria Colonna, poi trasformato in ospedale che  oggi è in totale abbandono. Entrambi vengono ricordati lo stesso giorno in quanto insieme subirono un orrendo martirio, Simone fu fatto a pezzi da una sega e per questa ragione viene venerato come protettore dei boscaioli e dei taglialegna.  Di Giuda, detto il Taddeo, da non confondere con quel Giuda che tradì Gesù nell’ultima cena, si hanno scarse notizie, fu detto Taddeo ovvero magnanimo, o Lebbeo ovvero coraggioso, era fratello di San Giacomo il Minore. E’ nominato nei Vangeli, ma di lui si hanno scarse notizie. Era soprannominato come il Cananeo o Zelota, cioè come zelante. Secondo la tradizione Egisippo, lo ricorda come martire tra gli anni 62 o 107, sotto Traiano. Benchè poco conosciuti i due apostoli San Giuda Taddeo e San Simone, erano parenti stretti di Gesù, Giuda Taddeo era figlio di Alfeo, fratello di San Giuseppe e quindi cugino di Gesù, mentre sulla parentela di Simone con Gesù le notizie sono incerte. Le loro reliquie sono custodite nella Basilica di San Pietro a Roma.

Ex Chiesa e Monastero S. Caterina
piazza Dante Viterbo

ex convento santa caterina a piazza dante viterbo centro storico

Ex Chiesa Monastero S. Caterina

Ex Chiesa e Convento di Santa Caterina, piazza Dante, Viterbo, qui vi soggiornò Vittoria Colonna, per 3 anni dal 1541 al 1544. Vittoria  Colonna venne a Viterbo, la prima volta, nel 1525 dove le giunse la notizia della morte del marito, infermo a Milano. Si chiamava don Ferrante Francesco d’Avalos, marchese di Pescara ed era il più valoroso dei capitani di Carlo V. La gentildonna rimase talmente sconvolta dal dolore che si ritirò nel Monastero di santa Caterina. Vi fece più tardi ritorno e dal 1° Ottobre del 1541 vi dimorò, seppur con brevi spostamenti, fino al Giugno del 1544. In questo periodo frequentò il cardinale Reginald Pole, che ricoprì, dal 12 Agosto 1541, la carica di legato del Patrimonio di san Pietro a Viterbo, essendo stato nominato da papa Paolo III. Il Pole si recava volentieri di persona, nel Monastero di santa Caterina, per far visita a Vittoria, la quale ritornò a Viterbo, per un breve periodo, nel 1545. Vittoria Colonna ebbe anche in questo periodo viterbese, una intensa corrispondenza epistolare con Michelangelo Buonarroti. Il complesso del convento di Santa Caterina, fu fondato nel 1520  dai domenicani per accogliere più in là nel tempo,  una comunità di monache benedettine, fu realizzato grazie al sostegno economico di due nobili viterbesi Nicola Bonelli e Giambattista Cordelli. Con l’Unità d’Italia nel 1870 la chiesa e il monastero vennero soppressi, il complesso fu adibito prima a Biblioteca, poi a palestra,  e poi in Liceo nel 1912.Dell'antica struttura è rimasta all'interno la ex Chiesa.
BIBL. Wikipedia e  Dal libro Mauro Galeotti: "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002 e Bruno Blasi, Tusciaup.com

Vittoria Colonna

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Vittoria Colonna nacque a Marino, aprile nel 1490 o nel 1492, e morì a Roma  il 25 febbraio 1547, di stirpe nobile fu una importante poetessa.. Appartenente alla nobile famiglia romana dei Colonna, in quanto figlia di Fabrizio Colonna e di Agnese di Montefeltro, dei Duchi di Urbino, ottenne il titolo di marchesa di Pescara. In quegli anni i Colonna erano alleati della famiglia D'Avalos e, per suggellare tale alleanza, concordarono il matrimonio fra Vittoria e Fernando Francesco quando ancora erano bambini. I due si sposarono il 27 dicembre 1509 a Ischia, nel Castello Aragonese. Vittoria Colonna  fu circondata  durante la sua esistenza dai migliori artisti e letterati del secolo, tra questi perfino Michelangelo Buonarroti, Ludovico Ariosto, Jacopo Sannazaro, Giovanni Pontano, Bernardo Tasso, Annibale Caro, Pietro Aretino, Girolamo Britonio, Angelo di Costanzo e molti altri. Il matrimonio con D'Avalos, sebbene combinato per servire le politiche di famiglia, riuscì anche dal punto di vista sentimentale, anche se i due coniugi non trascorsero molto tempo insieme a Ischia dove si erano stabiliti. Nel 1511 Fernando Francesco partì in guerra agli ordini del suocero per combattere per la Spagna contro la Francia, qui fu catturato durante la battaglia di Ravenna nel 1512 e deportato in Francia. Successivamente, divenne un ufficiale dell'esercito di Carlo V ma rimase gravemente ferito durante la battaglia di Pavia, nel 51525. Vittoria partì subito per raggiungerlo ma la notizia della sua morte la colse mentre era in viaggio. Cadde in depressione e meditò il suicidio ma riuscì a riprendersi anche grazie alla vicinanza degli amici. Profondamente colpita dalla perdita del consorte, Vittoria decise di onorarne la memoria con la poesia nella quale si fa sempre più evidente il misticismo; le sue poesie segnano la fondazione del ‘petrarchismo sacro’, un genere letterario che riscuoterà molto successo. Dopo la morte del marito, infatti, si erano accentuati gli interessi spirituali e religiosi di Vittoria che aveva annodato relazioni con persone le cui idee avrebbero influenzato il resto della sua vita. Fu in relazione anche con Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione, con il vescovo Giberti, colto letterato umanista e diplomatico e poi solerte vescovo di Verona dedito alla riforma dei costumi e alla diffusione di un più intimo e sentito senso religioso. Si deve ricordare che il segretario di Vittoria, Giuseppe Jova, era stato segretario di Giberti e in seguito aderì alla Riforma; condannato a morte si mise in salvo allontanandosi dall’Italia. La forte spiritualità di Vittoria si manifesta anche nelle lettere. Il carteggio di Vittoria Colonna è vasto, importante e conosciuto; le sue lettere erano dirette non solo ai famigliari ma anche all’imperatore e al papa. Dopo la morte del marito fu tanto il dolore che decise di ritirarsi in convento a Roma presso il convento delle Clarisse allora annesso alla Chiesa di San Silvestro, dove strinse amicizia con varie personalità ecclesiastiche che alimentavano una corrente di riforma all'interno della Chiesa cattolica, tra cui, soprattutto, Juan de Valdés e Bernardino Ochino. Non rimase a lungo in pace perché il fratello, Ascanio I Colonna, entrò in conflitto con papa Clemente VII, e in tale occasione Vittoria Colonna si trasferì prima a Marino e poi di nuovo a Ischia per cercare di mediare fra i contendenti. Questo le evitò di vivere in prima persona la traumatica esperienza del sacco di Roma del 1527 e le consentì di prestare aiuto alla popolazione e di riscattare prigionieri anche grazie ai propri beni. Ritornata a Roma nel 1531, conobbe Pietro Carnesecchi e nel 1535 e intrecciò con l'umanista fiorentino un rapporto di amicizia. In seguito volle compiere un viaggio in Terra Santa; si trasferì quindi a Ferrara nel 1537, in attesa di ottenere i permessi dal Papa, con l'intenzione di imbarcarsi da Venezia. Tuttavia non partì: la salute malferma la costrinse a rinunciare all'idea.  Nel 1536 o 1538 è da collocarsi il primo incontro con Michelangelo Buonarroti.Nel 1539 rientrò a Roma dove crebbe l'amicizia con Michelangelo, che la amò platonicamente, enormemente e su cui ebbe una grande influenza, verosimilmente anche religiosa. Michelangelo era profondamente unito a Vittoria Colonna da una profonda e sincera amicizia tanto da dedicarle anche dei madrigali, e fu veramente scosso quando ella morì, perché aveva perso una grande amica. Nel 1541 il fratello entrò per la seconda volta in conflitto con papa Paolo III, giungendo a fomentare una rivolta. Vittoria, allora, si trasferì a Viterbo dove conobbe il cardinale Reginald Pole.  Dopo 3 anni di soggiorno viterbese, nel 1544 rientrò a Roma dove, nel 1547 morì, salvandosi da una probabile inchiesta dell'Inquisizione che perseguitò molti dei suoi amici. Nel 1544 lasciò Viterbo per Roma, dove prese alloggio presso le monache benedettine di Sant’Anna. Negli ultimi anni di vita riprese con più intensità il rapporto con il Buonarroti con il quale si intratteneva in lunghe conversazioni, come testimonia il pittore Francisco de Hollanda, vissuto a Roma dal ’39 al ’48 con l’incarico di far relazione a Carlo V sugli avvenimenti romani. Nel ’46 Vittoria scrive a Michelangelo «cognoscerete che de’ miei quasi già morti scritti ringrazio solamente il Signore…». Morì il 25 febbraio 1547.
Il rapporto epistolare e di amicizia tra Vittoria Colonna e Michelangelo,
Una delle lettere di Vittoria a Michelangelo, le poche rimaste, “Magnifico messer Michelangelo, sì grande è la fama che vi dà la vostra virtù, che mai forsi haveresti creso che per il tempo né per cosa alcuna fussi stata mortale, se non veniva nel cor vostro quella divina luce, che ve ha dimostrato che la gloria terrena, per longa che sia, ha pur la sua seconda morte. Sì che, riguardando nelle vostre sculpture la bontà de colui che ve ne ha fatto unico maestro, cognoscerite che io de’ miei quasi già morti scritti ringratio solamente il Signor, perché l’offendeva meno scrivendo, che con l’otio hora non fo. Et ve prego vogliate aceptar questa mia voluntà per arra de l’opere future. Al vostro comando la marchesa de Pescara.”Michelangelo Buonarroti con lei intrecciò un fittissimo scambio epistolare, a testimonianza di una profonda amicizia. Un sentimento che non andrà oltre per l’omosessualità dell’artista. scrive il Buonarroti alla scomparsa di Vittoria, “Morte mi tolse un grande amico”, descritta come “Un uomo, una donna, anzi un Dio” e che  Michelangelo ritrae in alcuni dipinti..molte delle lettere furono probabilmente bruciate per evitare il Tribunale dell’Inquisizione a Michelangelo. Tra Vittoria Colonna e Michelangelo ci furono molti anni di corrispondenza epistolare , e restano a testimonianza  due missive michelangiolesche e cinque della marchesa. Il Buonarroti nel 1540 le inviò un piccolo quadro, una Crocifissione per la propria cappella privata; i bozzetti della Crocifissione sono conservati al British Museum di Londra e al Louvre di Parigi: l'artista aveva dipinto soltanto il Cristo, la Vergine e la Maddalena e, quando nel 1547 Vittoria morì, Michelangelo modificò il quadro raffigurando Vittoria come Maddalena. Una copia si trova nella concattedrale di Santa Maria de La Redonda a Logroño
Periodo viterbese della Marchesa Vittoria Colonna, nobile romana e poetessa:  quando il marito di Vittoria nel 1525 morì in battaglia, questo grave lutto, le creò una profonda depressione, tanto che pensò in un primo momento al suicidio, ma poi decise di ritirarsi in convento, per un periodo si ritirò presso il convento delle Clarisse allora annesso alla Chiesa di San Silvestro a Roma, dove strinse amicizia con varie personalità ecclesiastiche che alimentavano una corrente di riforma all'interno della Chiesa cattolica, tra cui, soprattutto, Juan de Valdés e Bernardino Ochino, ma non vi rimase a lungo. Fu poi nel 1541 che decise di trasferirsi a Viterbo, dove rimase per 3 anni fino al 1544, qui, la poetessa fu anche  in rapporto epistolare con Giulia Gonzaga alla quale scrive ringraziandola per aver inviato a Viterbo una copia del commentario di Valdes alle epistole paoline. A Viterbo le è dedicato un Largo a lei intitolato: Largo Vittoria Colonna che si trova dietro piazza Dante. Vittoria era stata per la prima volta a Viterbo nel 1512, non ancora ventenne. Vi si stabilisce dal 1541  ospite del monastero di Santa Caterina, proveniente probabilmente da Orvieto dove si era rifugiata dopo la morte dell’amato marito Ferdinando e a seguito del dissidio insanabile tra un di lei fratello e il pontefice. A Viterbo Vittoria frequenta il cardinale Reginald Pole, di dieci anni più giovane e parente di Enrico VIII Tudor, che nella nostra città, presso il palazzo di piazza della Rocca, ha fissato la propria dimora come Legato del Patrimonio di San Pietro. Una amicizia nata probabilmente dalla comune radice del dolore: lei aveva perso tragicamente il consorte, lui prematuramente la madre. Un legame che dà vita a un autentico salotto spirituale, frequentato dalle più belle menti del tempo. Un gruppo di persone, ecclesiastici e laici, che si dedica alla lettura e alla meditazione delle sacre scritture, ma anche allo studio degli scritti di Martin Lutero. Una visitazione a tutto campo, ovviamente vista con inquietudine dalla Chiesa. Secondo alcuni cronisti dell’epoca, Vittoria rischia addirittura di finire sotto processo del Sant’Uffizio, insieme al cardinal Pole. L’imputazione? La più classica e inflazionata del tempo: eresia. A salvarla – si dice – è soltanto la morte, sopraggiunta il 25 febbraio del 1547. La nobildonna lascia al monastero di Santa Caterina trecento scudi da consegnare alle monache del cardinale Pole. Il circolo viterbese va così perdendo in tempi rapidissimi la linfa vitale che lo aveva nutrito, quella sprigionata dal connubio tra la marchesa e Reginald. Nell’ormai fatiscente convento ci sarebbe ancora una iscrizione, riportata dallo storico, Andrea Scriattoli: “Vittoria Colonna/ fra poeti italici del suo secolo prima/ per ingegno dottrina beneficienza/ dovunque chiarissima/ soave modesta/ che/ perduto il consorte/ Ferdinando Francesco d’Avalos marchese di Pescara/ qui tenne lunga dimora/ dall’anno 1512 al 1544/ cultrice esemplare del vedovaggio/ come in giovinezza/ della Cattolica religione/ agitata e commossa/ le suore del monastero/ perché la memoria di tanta virtù/ ai futuri durasse…”. L’iscrizione sarebbe ancora all’interno del convento di Santa Caterina, largo Vittoria Colonna, a un passo da piazza Dante e a un altro passo dall’antico ospedale di San Simone e Giuda. Due edifici sigillati nella loro fatiscenza. Autentici, emblematici, fulgidi monumenti – si fa per dire – di come la città conservi la propria memoria.
A Pescara
il nome di Vittoria Colonna fu inciso nel 1949, in un distico commemorativo in una delle quattro testate laterali del nuovo Ponte Risorgimento , insieme a quelli per Francesco Fernando d'Avalos, di Gian Girolamo Acquaviva e Muzio Attendolo Sforza. Sempre a Pescara sono dedicati a Vittoria una strada, la biblioteca comunale del Museo delle Genti d'Abruzzo e la Galleria civica di arte moderna e contemporanea. La profonda amicizia tra Michelangelo Buonarroti e la marchesa Vittoria probabilmente fu uno dei fattori che contribuirono alla sua fama; ad ogni modo la Marchesa Vittoria  venne menzionata già dall'Ariosto, nell'Orlando Furioso, dove è lodata sia per la bellezza dei versi dedicati alla memoria del marito, sia per la fedeltà coniugale. Accanto al marito, Vittoria è protagonista della novella La tentazione del Pescara (1887-88), di Conrad Ferdinand Meyer. In ambito teatrale, Vittoria Colonna compare nell'ultimo atto de La Renaissance di Joseph A. de Gobineau ] accanto a Michelangelo, che la considera sua pari per grandezza spirituale; inoltre, è tra i personaggi del dramma Michael Angelo di Henry Wadsworth Longfellow, che nell'opera cita quasi letteralmente diversi brani del suo carteggio. Nel "Michelangelo" di Hans K. Abel, Vittoria, grazie al suo equilibrio e alla sua maturità, svolge il ruolo di guida spirituale dell'artista, mentre Eberlein, nell'introduzione al suo Michelangelo, in cui Vittoria è amata senza speranza dallo scultore, la definisce "la donna spiritualmente più ricca del suo tempo". Nella commedia Michelangelo di Pfordten, Vittoria è determinante per il lieto fine della vicenda; nel Michelangelo di Nedden, è un'immagine evocata dalla fantasia del protagonista, che però gli darà la forza di riprendere il lavoro a San Pietro; nel Michelangelo di Krleza, diviene simbolo della forza salvifica della donna, nonché ispiratrice dell'artista. Giacometti intitola La Marchesa di Pescara la seconda parte del suo Michelangelo Buonarroti; qui Vittoria è una presenza costante, attiva anche nelle questioni politiche. Anita Barbiani,nel suo "Michelangelo", propone un ritratto storicamente attendibile della marchesa. In Bussotti, Vittoria rappresenta la Verità, mentre in Veronesi, pur incarnando la figura di Diotima, è anche un personaggio reale. La presenza della Colonna in opere tanto eterogenee dimostra come la sua figura abbia lasciato un segno profondo nell'immaginario letterario.
BIBL. Wikipedia e  Dal libro Mauro Galeotti: "L'illustrissima Città di Viterbo", Viterbo, 2002 e Bruno Blasi, Tusciaup.com.

Chiesa Santuario S. Rosa

chiesa di santa rosa largo facchini di santa rosa viterbo

Chiesa Santuario S. Rosa

Chiesa e Santuario di Santa Rosa, patrona di Viterbo, si trova in fondo a via di Santa Rosa, si affaccia sul Largo Facchini di Santa Rosa, Viterbo, questa chiesa in origine era intitolata a San Damiano, risale al 1230. in origine era piuttosto modesta ed aveva un portico antistante. Subì rifacimenti ed ampliamenti, man mano che si radicava il culto di Santa Rosa. Benozzo Gozzoli nel 1453 dipinse un affresco sulle pareti raccontando la vita ed i miracoli della Santa, questi però vennero distrutti in un successivo rifacimento della chiesa del 1632, oggi restano solo delle copie fatte dal pittore seicentesco Francesco Sabatini con la tecnica dell'acquarello e conservate nel Museo Civico di Viterbo. L'attuale chiesa è stata ricostruita e consacrata nel 1850, in stile neoclassico, è annessa all'adiacente convento delle Clarisse. Nel 1913 fu aggiunta la cupola, su progetto dell'architetto Arnaldo Foschini, rivestita di maioliche, in seguito occultate da un rivestimento in piombo.Entrando nella chiesa a destra c'è l'altare del Crocefisso, e subito dopo l'edicola, qui è custodita la tomba della santa, che giace all'interno da un'urna di bronzo dorato, affiancata da due angeli in preghiera, risale al 1699, il corpo di Santa Rosa, si presenta pressoché intatto dopo quasi 8 secoli, rivestito da una tonaca di seta che periodicamente le suore del vicino monastero sostituiscono con una nuova.Quest'urna fu fatta costruire dalle monache nel 1699 da Giovanni Giardini da Forlì, argentiere della casa reale d’Inghilterra. Attualmente il monastero è custodito dalle Suore Francescane Alcantarine, congregazione fondata nel 1870 e attiva pastoralmente nella cura dei più poveri e nell’annuncio del Vangelo. In questa Chiesa si ammira anche il polittico del maestro viterbese Francesco d'Antonio da Viterbo, che raffigura la Madonna in trono col Bambino, tra le Sante Rosa e Caterina d'Alessandria; nelle cuspidi, nei pilastri laterali e nella predella sono raffigurati altri santi e sante. Una lapide in fondo alla navata di destra ricorda la consacrazione della chiesa, avvenuta il 25 agosto 1850. Nella chiesa è pure conservata la tomba di Mario Fani, fondatore della Gioventù italiana di Azione Cattolica e morto nel 1869. Annessi alla chiesa sono il Monastero e la casa della Santa, che la tradizione vuole che qui fosse nata e vissuta. Viterbo onora la sua Santa e Patrona ogni anno, il 3 settembre, con il tradizionale trasporto della macchina di Santa Rosa, e la conclusione di questo pio tragitto avviene nel piazzale antistante la Chiesa di Santa Rosa. Per tutte le informazioni e le foto vai a Chiesa Santuario Santa Rosa.

Vie di accesso al Largo Vittoria Colonna

via palazzaccio viterbo centro storico info foto anna zelli via delle maestre viterbo traversa via mazzini centro info e foto anna zelli
via Palazzaccio via delle Maestre
piazza dante viterbo centro info e foto anna zelli via mazzini viterbo centro storico info e foto anna zelli
piazza Dante

via Mazzini

Fotografie Largo Vittoria Colonna Viterbo centro storico

largo vittoria colonna viterbo centro storico

Largo Vittoria Colonna ,Vie di Viterbo, Viterbo

Largo Vittoria Colonna Viterbo centro storico

largo vittoria colonna viterbo centro storico info e foto anna zelli

Largo Vittoria Colonna ,Vie di Viterbo, Viterbo

Ex Chiesa Monastero e Ospedale SS Simone e Giuda Viterbo

ex chiesa e monastero ospedale santi simone e giuda largo vittoria colonna viterbo centro storico info e foto anna zelli

Ex Chiesa Monastero e Ospedale SS Simone e Giuda Largo Vittoria Colonna Viterbo

iscrizione porta ex ospedale ss simone e giuda largo vittoria colonna viterbo

Iscrizioni porta ex ospedale SS Simone e Giuda, Largo Vittoria Colonna Viterbo

Da vedere : Chiesa Santuario di Santa Rosa - Ex Monastero Santa Catina

chiesa di santa rosa viterbo centro storico info foto anna zelli ex convento santa caterina a piazza dante viterbo centro storico

Chiesa di Santa Rosa

Ex Chiesa Monastero S. Caterina
Piazza Dante

Santi Simone e Giuda

santi sinome e giuda a loro era dedicata una chiesa monastero e ospedale a viterbo

Santi Simone e Giuda

Piazza Dante - Via Mazzini

piazza dante viterbo centro info e foto anna zelli via mazzini viterbo centro storico info e foto anna zelli
piazza Dante

via Mazzini

Mappa zona Piazza della Crocetta - Mappa Salita di Santa Rosa

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mappe vie piazze zone di viterbo centro storico informazioni e fotografie anna zelli

Mappe colli vie piazze zone Viterbo

Vie di Viterbo centro  - Piazze Viterbo centro - Quartieri Viterbo centro storico

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Aggiornato Marzo 2023

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